Diciotto anni di cooperazione con la Cina stanno producendo un cambiamento sostanziale delle condizioni materiali del continente africano. Calcolando l’insieme dei flussi di capitali cinesi verso l’estero – fenomeno piuttosto recente per la Repubblica popolare – dopo l’Asia, prima in assoluto, è l’Africa ad aver percepito il grosso delle sue risorse finanziarie, superiori a Europa e Usa dove pure gli investimenti cinesi sono aumentati considerevolmente.
Etichettare questo espansionismo cinese come “neocolonialismo” dimostra la non conoscenza della storia cinese e soprattutto delle sue modalità di proiezione internazionale. L’Africa è inserita nell’iniziativa della Belt and Road, che nella pratica nasce prima ancora del suo lancio ufficiale. Molti collegamenti euroasiatici e investimenti in questa direzione avevano già preso forma prima del 2013.
Per la Cina la BRI è un progetto comune che non dovrebbe essere concepito come cinese tout court. Non è un caso che le più recenti iniziative d’investimento promosse da Usa, Giappone, India e Australia, così come il piano strategico di interconnessione europeo, lanciato pochi mesi fa, vengano visti dai cinesi come una emulazione positiva e costruttiva del senso della BRI.
L’obiettivo dichiarato del presidente della repubblica popolare cinese, Xi Jinping è quello di aiutare l’Africa a trovare la propria via per crescere: nel corso dell’ultimo Forum di cooperazione Africa-Cina, Pechino si è peraltro impegnata a contribuire allo sviluppo dell’Africa con 60 miliardi di dollari tra prestiti e investimenti in infrastrutture.
Sia l’UE che la Cina hanno avuto relazioni storiche con l’Africa, entrambi hanno bisogno delle sue risorse e, soprattutto, della sua stabilizzazione. Tuttavia, i percorsi relazionali sono stati radicalmente diversi: schiavitù, colonizzazione, evangelizzazione e sfruttamento senza sviluppo nel primo caso; anti-colonialismo, anti-imperialismo, lotta per l’indipendenza nazionale nel secondo caso.
La strategia congiunta Africa-UE, definita nel 2007, ha cercato di sviluppare una visione condivisa e principi comuni. Il quadro della cooperazione internazionale tra l’UE e i Paesi ACP (Africa-Caraibi e Pacifico) è un’altra forma attraverso cui l’Europa si è relazionata all’Africa in molti campi sin dagli anni Cinquanta. In entrambi i casi, le dichiarazioni sulla parità di partenariato e sui processi decisionali comuni non hanno mai corrisposto a una reale reciprocità.
Durante secoli di contatti con l’Africa, non possiamo individuare l’inizio di un vero sviluppo in termini di industrializzazione e modernizzazione. La precedente conquista e colonizzazione ha sostituito, in fase post-coloniale, l’ingresso economico e militare degli Stati Uniti e nuove forme di sfruttamento occidentale attraverso la supremazia tecnologica e i mezzi finanziari.
Tutti gli interventi occidentali in Africa sono stati legati a condizionalità politico-economiche e a varie forme di interferenza negli affari interni dei singoli Paesi. Per ricevere aiuti o prestiti ciascuno di essi è stato obbligato a seguire determinate condizioni politiche preliminari.
Le crisi del debito sovrano in Africa nel corso degli anni Ottanta e Novanta, così come in altri Paesi di recente indipendenza, derivano da questa modalità di gestire l’internazionalizzazione del sistema creditizio, centrato sul dollaro, sin dalla fine degli anni Settanta.
Sfortunatamente, lasciare l’Africa in condizioni di dipendenza dall’Europa è stata una strategia. Altrimenti non si può capire perché l’Europa non si sia mai impegnata nella costruzione di infrastrutture di base per collegare internamente le regioni africane né perché non sia stato sostenuto lo sviluppo di alcun collegamento aereo autonomo.
Allo stesso modo, non si può pienamente comprendere l’entità del sottosviluppo se si trascurano i disegni egemonici che la Francia ha continuato a perpetuare sul suo ex impero coloniale, sia da un punto di vista miliare che finanziario: in questo contesto va letto l’intervento in Libia nel 2011, voluto dall’allora presidente Nicolas Sarkozy, che sotto la copertura dell’etichetta umanitaria, ha fatto cadere il Paese in una guerra civile senza fine, favorendo peraltro la diffusione del terrorismo.
«Dopo l’indipendenza africana, l’Europa sta ancora tentando di dominare l’Africa attraverso la cultura, la lingua, la religione, la finanza e la tecnologia» ha scritto il generale in pensione Giorgio Spagnol. «Definendo e imponendo modelli politici per la gestione dei Paesi africani, l’Europa sembra determinata a mantenere il modo in cui il partenariato Africa-Europa è attualmente strutturato».
Contrariamente, se guardiamo all’approccio cinese all’Africa, abbiamo un esempio di cooperazione concreta. Di maggiore reciprocità. Abbiamo evidenza di un diverso modello di cooperazione che potrebbe diventare un riferimento per il mondo intero, e in particolare un’opportunità per l’Europa di cooperare in modo diverso con l’Africa, integrando le azioni cinesi.
Prime ferrovie, satelliti, programmi di formazione congiunti, investimenti in campo ambientale, copiosi investimenti in scuole, ospedali, zone economiche speciali, ecc. Alla ricerca del soddisfacimento dei suoi bisogni (terra, materie prime, energia, mercati) la Cina sta stabilendo relazioni reciprocamente vantaggiose con molti Paesi africani, come riconosciuto, tra i molti, dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres: «La cooperazione tra Cina e Africa – ha dichiarato – è fondamentale per il successo africano e contribuisce allo sviluppo globale e alla pace».
Mettere in atto piani per lo sviluppo e la stabilizzazione dell’Africa è fondamentale tanto per la Cina quanto per l’Europa poiché costituisce l’unica vera risposta strutturale alle crisi migratorie, alla diffusione del terrorismo e al sottosviluppo. È allo stesso tempo una grande opportunità, ma basata su un diverso approccio culturale, che implica il rispetto reciproco.
L’Italia, al centro del bacino del Mediterraneo, alla periferia europea, ai confini africani, europei e asiatici, ha espresso e proposto una nuova piattaforma di cooperazione dell’UE con la Cina in Africa. Il mio auspicio è che il Bel Paese possa essere in grado di influenzare l’UE in questa direzione, così come auspicato ufficialmente dal sottosegretario Michele Geraci e dall’ex presidente della Commissione europea Romano Prodi.