Al G20 di Deli è andato in scena un consesso indebolito. Dopo più di venti anni di storia, il summit indiano si è svolto senza i leader di Russia e Cina. Più comprensibile nel caso russo, molto meno in quello cinese. E’ in questo contesto che è andato in scena, ancora una volta, il tentativo dei paesi del G7 di imporre la propria agenda al Sud globale, forzando la mano sulla questione ucraina da una parte, con scarso successo, e proponendo qualcosa di alternativo alla BRI, in funzione esplicitamente anticinese: l’ipotesi di un corridoio India-Medioriente-Europa. I media occidentali l’hanno già soprannominata “l’anti via della Seta”, o comunque un progetto pensato per strozzare la Cina, contenerla economicamente e limitarne il raggio d’azione.
L’India-Middle East-Europe Economic Corridor (Imec), ovvero il Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa, è invero l’ultima emulazione della Belt and Road Initiative (BRI). Secondo il protocollo d’intesa, l’Imec dovrebbe estendersi lungo due corridoi infrastrutturali: quello orientale, che collegherebbe l’India al Medio Oriente, e quello settentrionale, per chiudere il cerchio includendo l’Europa. Il risultato dovrebbe essere una rete di transito transfrontaliero costituita da ferrovie, rotte di trasporto stradali e marittime, oltre a cavi per la trasmissione dei dati e dell’elettricità, e tubature per l’idrogeno verde.
Il piano è ancora confuso, eppure, India, Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti, Unione europea, Francia, Italia e Germania hanno già firmato un Memorandum d’intesa per saldare il patto. Da quanto si apprende, il Corridoio dovrebbe far parte del Partenariato per le infrastrutture e gli investimenti globali (PGII), un’alleanza creata dal G7 nel 2022, ed essere inserita nel solco della Global Gateway dell’Ue; un piano che, stando alla sua presentazione, ha destinato una spesa fino a 300 miliardi di euro per investimenti sulle infrastrutture all’estero tra il 2021 e il 2027. Al momento tuttavia non abbiamo visto alcun atto pratico dal lato europeo.
Tanti propositi teoricamente positivi, per il progetto appena presentato, che l’Occidente ha però sintetizzato in uno slogan fuorviante: “il Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa è l’anti Belt and Road”, o meglio un argine per contrastare l’influenza della Cina.
Così facendo, a nostro avviso il G7 continua ad ostacolare una vera e propria collaborazione internazionale tra pari, alimentando nel contempo un approccio da Guerra fredda divenuto ormai anacronistico. Dapprima era la promozione di una “globalizzazione inevitabile” ed “inarrestabile”, mentre oggi il vento è cambiato e l’occidente che fu “globalizzatore” diventa forza motrice di processi di de-globalizzazione, a nostro avviso tanto effimeri quanto inefficaci, poiché motivati dal desiderio di frenare l’ascesa del Sud globale, Cina in primis. Una tale schizofrenia è figlia dell’indebolimento dello stesso G7, che, come dicevamo in apertura, ha oramai inficiato anche il funzionamento del G20.
Ma torniamo alla cosiddetta alternativa alla via della seta e alla totale incomprensione del suo funzionamento, oppure, ad una chiara comprensione dell’iniziativa cinese secondo una logica che non appartiene alla repubblica popolare.
Nelle intenzioni cinesi, infatti, fin dal lancio della Belt and Road, avvenuto nel 2013, c’è sempre stata la speranza che questa iniziativa potesse essere emulata, o meglio, fungere da stimolo per creare qualcosa di analogo in altre regioni, così da coinvolgere quante più nazioni possibili per accelerare lo sviluppo reciproco tra Stati. Agli occhi della Cina, dunque, la comparsa di un ipotetico Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa non viene concepita come una minaccia, ma come un fattore positivo, specchio della grande domanda globale di infrastrutture ancora inevasa.
Detto altrimenti, significa che i governi – per lo più quelli dei Paesi in via di sviluppo – necessitano infrastrutture corali per crescere e dare il loro contributo alla risoluzione dei problemi globali. A differenza di quanto si possa pensare in Occidente, la Cina guarda all’IMEC come stimolo, derivante dall’influsso della BRI, utile per realizzare la comunità umana dal futuro condiviso, nonché necessario per aiutare a ridurre il gap economico tra le nazioni.
Queste non sono opinioni, bensì principi fondanti della proposta cinese, riscontrabili tanto nei documenti ufficiali quanto nell’implementazione dei vari progetti finora realizzati. Ciò significa che questi principi sono stati anche praticati nel corso dei primi dieci anni della BRI. Più che intavolare una competizione tra via della Seta e via del Cotone, Pechino ritiene che iniziative come l’IMEC avranno successo, con risultati tangibili per tutti, solo se verranno inserite e inglobate nelle altre iniziative che hanno già aperto la strada. Dall’altro lato troviamo però modalità di promozione che danno l’impressione di voler sostituire le nostre iniziative, ancora sulla carta, con quelle già operative. La BRI, lo ripetiamo, ha già coinvolto più di 140 paesi (erano meno di 60 nel 2014) e sostenuto un trilione di dollari di investimenti. Ad essere clementi, la logica del G7 è quantomeno miope. Non solo: l’aspetto peggiore è che un simile modus operandi non aiuta né aiuterà mai a risolvere i problemi globali. L’opposto della ricetta proposta dalla Cina.
L’intento di un simile approccio è chiaramente quello di applicare la classica “mentalità da Guerra Fredda” per dare vita ad un gioco a somma zero, nell’accezione occidentale, che nel mondo non possa esserci spazio per una mutua cooperazione basata su vantaggi reciproci. Il taglio dato dalla maggior parte dei media nostrani all’annuncio dell’IMEC – nella chiara volontà di creare una narrativa alternativa alla via della seta – sottolinea infatti proprio la volontà del blocco occidentale di creare una competizione nel campo commerciale-infrastrutturale, laddove la Cina propone l’esatto contrario: una cooperazione tra Paesi per creare una comunità umana dal futuro condiviso. Insomma, pretendiamo di sostituire la Cina emulandola. Poca ratio e molto masochismo.