Dimezzare le emissioni navali entro la fine di questo decennio? Secondo Ce Delft si tratta un’opzione percorribile.
Nel suo ultimo report, la consultancy firm invita i 175 Stati Membri dell’International Maritime Organization a fare di più, e meglio, per raggiungere il Net-Zero: “Il 2050 è troppo in là nel tempo – è in estrema sintesi il messaggio inviato al mondo dello shipping – occorre raggiungere il traguardo con un anticipo di dieci anni sul tabellino di marcia”.
Proprio mentre l’IMO comunica la decisione di voler rivedere la propria strategia sulle emissioni (è attesa una riunione del Comitato per la protezione dell’ambiente marino nella prima settimana di Luglio), Ce Delft evidenzia come l’adozione di combustibili bio, la riduzione del 20/30% della velocità di navigazione e l’adozione di misure di propulsione eolica, possano mettere l’industria navale nelle condizioni di contribuire ad abbattere le emissioni di un range compreso tra il 28 e il 47% rispetto ai livelli del 2008.
Viene fatto osservare che di qui al 2030 lo slow steaming potrebbe contribuire da solo ad abbattere le emissioni marittime di circa il 25% rispetto ai livelli del 2008. Le altre misure operative, come la propulsione eolica e l’utilizzo di combustibili a zero emissioni di GHG per la produzione del 5-10% dell’energia del trasporto marittimo, contribuirebbero, ciascuno per un quarto del totale, al raggiungimento del traguardo designato, favorendo il contenimento dell’aumento della temperatura globale nei prossimi anni a 1,5 gradi centigradi, così come stabilito dall’Accordo di Parigi.
“L’implementazione di queste misure avrebbe come inevitabile conseguenza quella di aumentare i costi di spedizione in media del 6-14% rispetto ai livelli attuali” si legge nello studio commissionato dai gruppi ambientalisti Transport & Environment, Seas at Risk, Ocean Conservancy e Pacific Environment. Ma viene di fatto sottolineato che si tratterebbe di un costo altamente gestibile. Avere spedizioni marittime sostenibili si tradurrebbe infatti in una riduzione notevole dei costi legati ai danni ambientali. Che non sono pochi.
L’University College di Londra stima che ogni anno di inattività in questo decennio rischierebbe di rendere sempre più costosa la decarbonizzazione in ambito navale, producendo un extra costo di 100 mld di dollari.
“L’analisi mostra chiaramente che queste riduzioni sono possibili e che i costi non sono un ostacolo. Le prove non potevano arrivare in un momento migliore” afferma Delaine McCullough, responsabile di Ocean Conservancy. “L’IMO non deve sprecare quella che potrebbe essere l’ultima migliore opportunità per rimettere in carreggiata la spedizione per prevenire un disastro climatico “.
Anche per Antonio Santos, di Pacific Environment, l’imminente riunione del comitato per la protezione dell’ambiente marino dell’IMO a luglio rappresenta un’opportunità storica per decarbonizzare il trasporto marittimo internazionale: “L’inclusione di obiettivi scientifici per il 2030 e il 2040 è essenziale per raggiungere questo traguardo” ribadisce.
Della stessa opinione Faïg Abbasov, di Transport & Environment: “Aspettare fino al 2050 per decarbonizzare è un po’ come aspettare che la tua casa bruci prima di chiamare i vigili del fuoco. La scienza afferma che dimezzare le emissioni entro il 2030 è tecnicamente possibile e i costi sono gestibili. Ciò che serve è la volontà politica; L’IMO deve intensificare gli sforzi”.
Gli obiettivi di decarbonizzazione fissati da Ce Delft e dai vari gruppi ambientalisti sono sicuramente molto più ambiziosi di quanto non lo siano quelli dichiarati dagli Stati membri più progressisti dell’IMO: USA, Regno Unito e Canada avevano individuato come obiettivo traguardabile entro il 2030 la riduzione delle emissioni marittime di circa il 37%. L’UE si era invece fermata a un più modesto 29%.