«Lo shipping ha sempre dimostrato la memoria di un pesce rosso. Abituato com’è a prendere le decisioni sul momento, non ha mai fatto tesoro degli insegnamenti del passato e ha ripetutamente agito come se il futuro non potesse essere diverso dal presente. Il settore non sembra essere stato capace di imparare dai propri errori». Gian Enzo Duci analizza la situazione di mercato con la stessa lucidità critica che si ha nello sfogliare le foto dell’album di famiglia e nel confrontare tra di loro le istantanee.
L’album presenta tre periodi storici ben precisi: quello che va dalla metà dagli anni ’90 al 2008, quello che prendendo le mosse dalla crisi originata dalla bolla speculativa dei mutui subprime arriva sino al 2020 e il presente.
«Credo che con il 2021 si sia alla partenza di un nuovo ciclo» dice il manager di Esa Group. «Dopo il periodo espansivo durato dalla metà degli anni ’90 al 2008, direi che si possa considerare chiusa la fase di depressione causata prevalentemente dall’eccesso di tonnellaggio offerto e, in certi mercati, dalle stesse strategie degli operatori».
Alla fine del secolo scorso il settore del trasporto container si presentava con caratteristiche totalmente diverse da quelle attuali: i primi 10/15 player non erano tutti globali e avevano quote di mercato poco rilevanti. Malgrado una domanda di trasporto crescente, la concorrenza feroce tra operatori ha generato una riduzione dei noli ai limiti della sopravvivenza anche nella fase espansiva del ciclo. «In questa fase storica l’obiettivo non è mai stato il raggiungimento di profitti bensì la ricerca della quota di mercato perseguita attraverso la competizione sui noli. L’equilibrio di bilancio si inseguiva (le rare volte in cui lo si trovava) attraverso strumenti di contenimento dei costi: dalle economie di scala derivanti dalla dimensione delle navi a quelle derivanti dell’aggregazione delle società armatoriali. Il mercato si faceva insomma sul prezzo di un servizio semplice ma affidabile, dove qualsiasi tentativo di diversificazione qualitativa non è mai stato premiato».
L’industria manufatturiera, che durante lo stesso periodo è andata globalizzandosi, ha pensato che quel servizio semplice, affidabile (che era, esso stesso una delle determinanti principali della globalizzazione) potesse continuare ad essere fornito in eterno ad un prezzo irrisorio.
Paradossalmente, la crisi del 2008, durata fino al 2020, e che ha devastato il tramp, per il settore container è stata vissuta in continuità rispetto al periodo precedente, stressando ulteriormente le politiche di contenimento dei costi, dall’ipergigantismo navale allo slow steaming, dai merger all’ottimizzazione dell’uso delle stive attraverso la condivisione delle stesse anche tra competitor. Sono tutte strategie che hanno impattato sull’affidabilità del servizio, sempre semplice, sempre venduto a basso prezzo, ma non più così affidabile.
A questo punto arriva il Covid. «La Pandemia – continua Duci nella sua analisi – è intervenuta su una platea di operatori sopravvissuti, ridotta nel numero e finanziariamente allo stremo, che si è trovata nelle condizioni di poter alzare i prezzi dei servizi offerti su un mercato a domanda derivata come il trasporto via mare in cui la domanda è sostanzialmente anelastica rispetto al prezzo. In un momento in cui la spesa delle persone, a causa delle limitazioni imposte dal Covid, si è orientata sui beni di consumo a discapito dei servizi, questa domanda sottostante da cui deriva quella del trasporto via mare ha consentito l’attuale esplosione del livello dei noli che non sembra avere un limite».
Tra l’altro per una “commodity” semplice come il trasporto marittimo, la diminuzione dell’efficienza e della qualità del servizio ha ridotto direttamente la stessa quantità di servizio offerta, alimentando un ulteriore effetto incrementativo sul suo prezzo. Nei primi mesi di quest’anno, una serie di eventi ha contribuito ad accelerare un meccanismo già di suo perverso: «La crisi di Suez, con l’incaglio della Ever Given; le problematiche addizionali per Covid dei porti del sud della Cina; il ripetersi delle ataviche criticità dei porti statunitensi del Pacifico, sono tutti elementi che hanno esacerbato lo squilibrio presente».
Questo scenario sta indubbiamente permettendo alle compagnie di navigazione di portare a casa margini di guadagno assai rilevanti dopo anni di ingenti perdite, ma anche i grandi spedizionieri stanno vedendo effetti positivi sui propri bilanci, malgrado le complessità crescenti. Più difficile la situazione dei medi e piccoli spedizionieri che vedono complicarsi il proprio lavoro quotidiano, avendo scarso potere negoziale con i grandi liner.
«La ricerca di soluzioni innovative e diverse è sicuramente auspicabile – afferma il manager – anche se ho qualche dubbio sul fatto che basti noleggiare un paio di navi per trasformarsi in operatori marittimi di linea sulle grandi rotte est ovest. In passato quella che oggi può sembrare una scelta coraggiosa si è sempre dimostrata avventata, ma a questo giro spero si possano avere esiti diversi: trovo indicativo però che tale opzione non sia stata adottata da quei player operativi sui mercati regionali (IntraAsia e IntraEuropa) che avrebbero già parte del set up per tentare l’avventura sulle rotte oceaniche».
Una soluzione a tale disequilibrio passa attraverso la messa in acqua di nuovo tonnellaggio ma bisogna fare attenzione a non ripetere gli errori del passato eccedendo in questa direzione. Una over reaction da parte dei liner potrebbe far ripiombare il settore in una situazione che ci siamo appena messi alle spalle. «Il portafoglio ordini ha raggiunto valori mai visti da dieci anni a questa parte – spiega Duci – ma le newbuilding non verranno immesse nel mercato prima del 2023/2024. La conseguenza è che nel breve periodo il settore non riuscirà a mettere in acqua il tonnellaggio necessario a soddisfare la domanda attuale, alimentando disfunzioni e polemiche. Spero però che il “clima” non induca ad un eccesso di ordini che, tra l’altro, arriverebbero sul mercato quando gli effetti del Covid sul rapporto di spesa della popolazione tra beni di consumo e servizi ci si augura possano essere tornati alla normalità».
Industria e logistica dovrebbero sfruttare questo periodo per reingegnerizzarsi: «Abbiamo l’opportunità di ripensare il modo in cui i servizi di trasporto sono offerti. Oggi il settore ha un livello qualitativo basso ed indifferenziato. Un periodo di noli così alti dovrebbe essere sfruttato per investire in processi e tecnologie per differenziare l’offerta futura di servizi a valore aggiunto, che potrebbero essere finalmente recepiti da un mercato rimasto scottato dal periodo di pandemia. Qualche segnale di operatori lungimiranti in tal senso lo abbiamo sia in Europa che in Asia. Qui da noi, ad esempio, c’è l’esempio positivo di Tarros», afferma Duci, per il quale l’industria manifatturiera e la grande distribuzione hanno vissuto un ventennio dando per scontato che la logistica via mare non avesse quasi un costo, che fosse una variabile marginale da cui spuntare solo noli sempre più bassi. «Gli effetti di tale miopia oggi sono evidenti a tutti. Un diverso rapporto con la logistica, e una riorganizzazione delle supply, sono essenziali soprattutto di fronte a un ciclo economico in cui assume un ruolo chiave anche l’aspetto ambientale».
In questo senso l’industria del trasporto via mare, pur nell’incertezza degli strumenti utilizzabili, ha iniziato a fare la sua parte: «Uno studio del DNV afferma che per rispettare gli obblighi di abbattimento del suo impatto ambientale, di qui al 2050, l’armamento dovrà investire tra i 250 e gli 800 miliardi di dollari. Già oggi, il 12% delle newbuilding ordinate prevede di essere alimentato da combustibili alternativi rispetto agli attuali».
Per il managing director di Esa Group questo periodo storico può offrire opportunità di sviluppo anche al settore dei porti. «Il differenziale dei noli dal Mediterraneo e dal Nord Europa per l’Asia è rimasto percentualmente analogo al periodo pre-Pandemia, ma i valori assoluti sono ovviamente aumentati. In questo gap si apre la possibilità di compensare il maggior costo del trasporto terrestre verso il centro Europa con partenza dai nostri porti verso quelli di Olanda, Belgio e Germania».
Nel suo report Drewry sottolinea come la media dei noli sulle principali otto rotte mondiali tocchi i 10.000 dollari, con picchi di 15-000 dollari sulla rotta Shanghai-Rotterdam e circa 1000 dollari in meno per la Shangai-Genova. «Noli così alti possono paradossalmente favorire nuove opportunità di sviluppo per i porti del Mediterraneo: fino a pochi anni fa il differenziale di costo nel trasporto terrestre tra la rotta Shanghai-Rotterdam e quella Shanghai-Genova era talmente irrisorio da rendere indifferente la scelta tra le due destinazioni per la merce proveniente dal Far East, con un ruolo decisivo del costo del trasporto terrestre verso la destinazione finale». Che cosa significa? «Che, se la situazione dovesse persistere, per i porti italiani si potrebbe ampliare la catchment area».
Questo è il quadro. Vincerà chi saprà interpretare i segni dei tempi e, possibilmente, anticiparli: «Chi pensa e spera che si possa tornare a una situazione pre-Covid rischia di fare la fine di quei pesci che nuotano nel proprio acquario senza accorgersi delle persone, invisibili nell’ombra, che continuano a schiacciarsi contro la parete di vetro per contemplare la meravigliosa vita marina».
La verità è che «la logistica non può vivere in situazione di incoscienza, deve trovare un proprio equilibrio per poter essere attività di servizio alla merce e non mercato di speculazione: non vorrei invece che la corsa agli ordini in reazione all’impennata della domanda di trasporto portasse a breve ad un nuovo eccesso di offerta e, quindi, ad una nuova situazione di crisi».