I due incidenti mortali registrati, a meno di 24 ore di distanza l’uno dall’altro, nei porti di Civitavecchia e Trieste hanno scatenato una ridda di reazioni tra gli addetti ai lavori.
Sebbene abbiano dinamiche molto diverse, la morte di Alberto Motta (29 anni), nel porto della capitale, e quella di Paolo Borselli (58), nello scalo portuale giuliano, hanno messo in evidenza la necessità di un intervento urgente in materia di sicurezza e formazione che non può essere più rinviato.
A Catania, dove si è svolto il congresso nazionale della CGIL, il direttore generale di Assiterminal, Alessandro Ferrari, ha messo in fila le priorità per il settore.
“Il tema centrale della discussione è la tutela e la sicurezza del lavoro portuale. Da questo punto di vista, ritengo maturi i tempi per la elaborazione di linee guida nazionali per la valutazione dei rischi” afferma Ferrari.
“Ne parliamo da vent’anni ormai. Più che riformare dovremmo pensare ad attualizzare l’attuale legge di riferimento per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro delle attività svolte nei porti italiani, il dlgs 272 del 1999. La norma c’è ed è operativa e non mi risulta che in questi anni non sia mai stata rispettata, va aggiornata”.
Le norme ci sono, quindi. Vanno solo attuate meglio. “Le linee guida potrebbero essere utili per dare una impostazione più uniforme che porterebbe a fissare per tutti dei punti fermi da implementare e degli obiettivi da perseguire” afferma il dg di Assiterminal.
L’Inail potrebbe essere il soggetto centrale di questo percorso. “A Catania ho incontrato il direttore generale dell’Istituto, Andrea Tardiola, che ha condiviso pienamente questo progetto, soprattutto la necessità di semplificare i profili di rischio nel lavoro portuale a beneficio delle imprese”.
Il passo successivo, secondo Ferrari, sarà quello di coinvolgere enti certificatori, come il RINA, per certificare i sistemi di gestione del lavoro in porto: “già molti Terminalisti hanno sistemi di gestione certificati e questo funziona” ammette.
Che cosa questo significhi è presto detto: “Certificare un sistema di gestione vuol dire sostanzialmente averlo sotto controllo” spiega Ferrari. “E’ un po’ il principio di tutte le norme ISO. Si presume quindi che il rispetto degli obblighi di legge sia monitorato dall’azienda ma anche da enti esterni” aggiunge.
Secondo il manager portuale, questo percorso dovrebbe rappresentare un notevole passo in avanti nella definizione dei modelli organizzativi virtuosi in ambito portuale. Ma come convincere le aziende a farsi certificare? “Basterebbe inserire dei meccanismi premiali: far sì, ad esempio, che chi abbia un modello certificato acquisisca una priorità nell’ambito dell’acquisizione di una concessione demaniale o del rilascio di una autorizzazione allo svolgimento delle operazioni e dei servizi portuali” risponde il dg dell’Associazione dei Terminalisti Italiani.
Altro tema strategico è quello della formazione. “Qui voglio essere chiaro: le aziende sono obbligate per legge a formare il proprio personale. Nessuno può esimersi dal farlo e nessuno si esime. Oggi le aziende formano un po’ come vogliono. Il presupposto è non toccare la loro autonomia organizzativa. Le linee guida di cui parlavo poc’anzi servirebbero proprio a questo, a uniformare gli standard di base della formazione a livello nazionale”.
Una volta acquisiti degli standard specifici, il problema diventa, secondo Ferrari, quello di realizzare corsi formativi che coinvolgano quanti più lavoratori possibili: “In alcuni ambiti del nostro settore il rischio interferenziale è elevato: lavoratori portuali di datori di lavoro diversi si trovano spesso e volentieri ad operare in un unico ambito portuale. Per questo sarebbe opportuno predisporre modelli di formazione ad hoc che vedano coinvolte tutte le singole aziende portuali e i loro lavoratori.”
Le risorse non sarebbero chiaramente un problema: “I soldi ci sarebbero : penso alle previsioni dell’art.17, comma 15 bis, o al fondo formazione del lavoro portuale, previsto dalla legge di bilancio, di cui mancano però ancora oggi i decreti attuativi”.
Altro argomento da trattare è quello dell’usura del lavoro portuale: “L’incidente mortale occorso al lavoratore di Trieste presenta elementi di similitudine con quello che ha coinvolto Alessandro Bassi, il dipendente di Contship finito in acqua nel porto di La Spezia con l’auto di servizio: entrambi i lavoratori avevano circa sessant’anni”.
Il dg di Assiterminal ne è convinto: ” Il personale in porto ha una età anagrafica molto elevata. E’ arrivato il momento di accelerare il ricambio generazionale e il modo migliore per farlo è quello di cominciare a considerare il lavoro portuale come usurante. Intorno alla prima settimana di Marzo, presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, si svolgerà un nuovo incontro sulle questioni rimaste aperte: speriamo di riuscire a trovare una quadra”.