Focus

Tasse AdSP: contesa Italia-UE

Stato e Porti, divergenze parallele?

di Marco Casale

Ma il Governo sostiene o no le Autorità di Sistema Portuali nel tentativo di far legittimamente valere le proprie ragioni e di opporre a Bruxelles una strenua resistenza alla decisione della Commissione di tassare i porti italiani?

Tutte le rassicurazioni fornite ieri da Assoporti in occasione della Conferenza Stampa nella quale sono stati illustrati i contenuti e le motivazioni del ricorso depositato presso il Tribunale dell’Unione Europea non hanno infatti pienamente fugato il dubbio.

La domanda che un collega di Ship2shore, Andrea Moizo, ha rivolto indirettamente al direttore generale del Dipartimento per i trasporti e la navigazione, Teresa Di Matteo, presente all’iniziativa, non ha avuto una risposta netta, chiara, da parte dei presenti.

Certo – si dirà – difficilmente le AdSP, e con essa Assoporti, avrebbero intrapreso questa strada senza il placet del Ministero competente. Ma nell’amministrazione si ragiona per atti, non per parole. Ed è un fatto che lo Stato non abbia deciso di impugnare la decisione di Bruxelles di imporre l’esclusione della natura tributaria dei canoni demaniali e di tutte le altre tasse portuali alle sedici Autorità di Sistema Portuali italiane.  I termini per la presentazione del ricorso sono infatti scaduti il 15 febbraio scorso.

Si è trattata di una distrazione ingenerata dalle fasi concitate della caduta del secondo Governo Conte? Può darsi, così come potrebbe anche darsi – ne abbiamo già scritto – che il ricorso alla Corte di Giustizia Europea in materia di tassazione dei porti sia stato scarificato sull’altare della trattativa avviata con la Commissione per l’approvazione del Piano Nazionale di Recupero e Resilienza.

Non staremo a dilungarci sulle cause del fraintendimento. Quel che è certo è che le AdSP sono rimaste apparentemente sole. Il ricorso dei singoli porti non ha infatti nulla a che vedere con il ricorso che avrebbe potuto fare l’Italia. L’art. 263 TFUE consente a soggetti diversi dai destinatari dell’atto (lo Stato membro) di impugnare la decisione quando si è direttamente e individualmente interessati.

Il relativo ricorso della singola Autorità, quindi, può investire esclusivamente aspetti di suo interesse e un intervento adesivo dello Stato non è più possibile. Come è stato scritto in passato su queste colonne, non sono ammessi, infatti, gli interventi di soggetti che avrebbero potuto ricorrere nei termini. E lo Stato aveva tempo fino al 15 febbraio.

Si tratta di una situazione confusa, che presta il fianco a letture plurime e dissonanti. Una situazione che già ieri sera  è stata stigmatizzata dall’avvocato Maurizio Maresca, in un post pubblicato su Facebook: «Il governo accetta la decisione della Commissione in tema di aiuti e dalla stessa decisione è vincolato. Le autorità portuali, che giustamente non vogliono pagare le tasse, ma che sono anche enti pubblici non economici che operano sulla base degli indirizzi del Ministero, dissentono e impugnano».

Maresca ricorda come sia già successo in passato che una impresa (anche a controllo pubblico) non avesse condiviso la decisione del suo Governo che aveva accettato un provvedimento in materia di concorrenza della Commissione europea «ma mai era accaduto che la divergenza si ponesse fra tutte le amministrazioni pubbliche coinvolte ed il loro Ministero di riferimento».

«Specie in un momento in cui la cooperazione fra governo italiano e Commissione europea è essenziale, una posizione unitaria, ed ispirata alla leale cooperazione, sarebbe preferibile. Anche perché la materia è molto discutibile alla luce dei provvedimenti della giurisprudenza e dell’Agcm» ha concluso Maresca.

Insomma, se il Governo non ha impugnato c’è sicuramente una ragione. Secondo diversi esperti, non è infatti immaginabile che lo Stato si sia lasciato sfuggire per disattenzione l’occasione del ricorso. A meno che non fosse determinato in tal senso.

Le motivazioni possono essere molteplici. E sarebbe fin troppo arduo provare a ripercorrerle tutte. La vera domanda che dunque dobbiamo porci rimane ancora oggi inevasa: perché Roma non ha deliberatamente deciso di impugnare la decisione della Commissione? Sulla questione sarebbe opportuna un po’ più di chiarezza.

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