© Michela Canalis
Interviste

Colloquio con Gian Enzo Duci

Sulla scia del cambiamento

di Marco Casale

«Il vero pericolo per i porti italiani? È quello di sottovalutare la portata dei cambiamenti in atto e, quindi, di non prendere le necessarie contromisure». Raggiunto al telefono, Gian Enzo Duci si lascia andare ad una riflessione a 360 gradi su problemi e prospettive della portualità, non solo nazionale, di fronte agli stravolgimenti inflitti al settore dalla crisi pandemica.

«Gli shock economici degli ultimi due anni hanno messo in crisi la natura globale della segmentazione e specializzazione dei processi industriali, definendo una nuova mappa delle catene del valore» afferma il vice presidente di Conftrasporto e manager di Esa Group.

«Le sfide alla globalizzazione sono chiare e portano a una riconfigurazione radicale dell’economia per gruppi integrati di paesi affini e aree omegenee di interesse. Quel che resta da capire è se come Paese sapremo cogliere le opportunità di questo grande cambiamento».

Nella sua disamina sull’andamento delle attuali dinamiche di mercato, Duci non esita a parlare di quello che un docente universitario della Bocconi, Gianfranco Ottaviano, ha definito come “processo di riglobalizzazione selettiva”.

E cita un sondaggio recentemente elaborato per una società di software Nord Europea, la IFS, sulle tendenze in atto nella gestione della logistica, per spiegare come ad oggi le principali imprese del settore abbiano tutta l’intenzione di far crescere il ricorso a fornitori domestici o comunque di aree vicine. «Il 72% degli intervistati, ovvero la quasi totalità delle 1450 aziende coinvolte nel sondaggio, ha dichiarato di voler ridefinire in chiave regionale i propri processi di approvvigionamento. È la manifestazione di tipo statistico di quello che osservatori ed esperti vanno dicendo da mesi».

Il cosiddetto nearshoring, che sposta la produzione o l’assemblaggio dei prodotti in luogo più prossimo a quello della domanda, sta diventando sempre più popolare presso le aziende. «Ne deriva una marcata valorizzazione dei mercati regionali o intracontinentali, che in Italia potrebbe aprire a scenari importanti di sviluppo per il traffico RO/RO».

Purtroppo, la portualità italiana non riserva ai rotabili e alle autostrade del mare la stessa attenzione che ha per il traffico container. «In un Sistema Portuale come il nostro, che – più o meno stabilmente – movimenta da anni circa 11 milioni di TEU, di cui 4 milioni in transhipment, sono stati cantierati progetti infrastrutturali per aumentare la capacità di movimentazione di ulteriori 5 milioni di TEU» fa osservare Duci. «Fatta eccezione per Trieste e Livorno, nessun altro porto ha invece messo al centro della propria agenda progetti di espansione sul traffico Ro/Ro. Genova, ad esempio, sta perdendo un’occasione importante per crescere in questo settore».

Se queste sono le prospettive di sviluppo e riorientamento di un mercato che sta cercando di reagire agli urti e alle sollecitazioni della sbornia post-pandemica, il presente rimane ancora incerto: «I mercati mondiali sono alle prese con un elemento sostanzialmente nuovo – spiega il manager di Esa Group -: l’aumento del tasso di inflazione, accompagnato da un marcato indebolimento della crescita economica, lascia intravedere il rischio di una stagflazione che il mondo non conosce dai tempi della crisi energetica precedente, quella del ’73 provocata dalla guerra dello Yom Kippur».

La prospettiva nel breve termine «è quella di una indebolimento della capacità/volontà di spesa dei consumatori, che combinato ad un incremento dell’offerta di stiva, sta portando ad una normalizzazione del mercato del trasporto marittimo di container» aggiunge Duci. «È normale quindi aspettarsi un atterraggio dei noli a livelli marcatamente più bassi rispetto a quelli visti sino ad oggi. Non è un caso, infatti, che le tariffe dei contratti a lungo termine, stipulati da imprese desiderose di assicurarsi la spedizione della propria merce a prezzi fissi, si siano ormai allineate a quelle del mercato spot».

Il n.2 di Conftrasporto chiama a testimonianza i dati di Drewry per descrivere in modo plastico la realtà dei fatti: «Questa settimana, il Drewry World Container Index, che valuta le tariffe di trasporto dei container sulle otto rotte principali da e per Stati Uniti, Europa e Asia, è sceso del 47% rispetto alla stessa settimana dell’anno precedente. I valori tariffari sono insomma la metà di quelli del 2021, anche se su livelli ancora sostenuti rispetto alla media degli ultimi cinque anni. Prospetticamente il mercato sembra ancora lasciare spazio per i profitti delle compagnie di navigazione, ma su livelli ridotti rispetto ai record del 2021 e della prima metà del 2022».

Come già anticipato, il previsto aumento dell’offerta, favorito dall’immissione in acqua nei prossimi due o tre anni di nuovo naviglio dovrebbe favorire il progressivo riallineamento con la domanda, oggi in contrazione. «Complessivamente, la flotta mondiale acquisirà entro il 2023/24 una capacità aggiuntiva del 30%. Una percentuale rilevante che pure si riduce della metà se al posto dei TEU prendiamo in considerazione il numero delle navi in ordine (15%) rispetto alla flotta attuale. Il 70% dell’orderbook comprende infatti unità da più di 12 mila TEU: pur non essendoci più una corsa al gigantismo navale su picchi elevati (ormai attestatisi attorno ai 24.000 Teu), c’è comunque una tendenza della flotta a crescere di dimensione».

Nella sua analisi, Duci si sofferma anche sull’andamento di altre tipologie di traffico, come quello delle rinfuse liquide: «In termini di noli, il settore tanker ha sofferto non poco negli ultimi anni, sembrando quasi la Cenerentola dello shipping: oggi, però, il mercato è tornato a livelli che non si vedevano da anni. Considerata la presenza dell’armamento italiano in questo settore, come Paese non possiamo che esserne contenti».

Il settore delle rifuse solide ha invece fatto registrare una leggera decrescita, che «si è fatta pesante per le navi bulker di taglia maggiore, le Capesize. Al momento, invece, sembrano meno impattate le size più piccole, dove è maggiormente presente quel che rimane dell’armamento italiano».

Il manager di Esa Group dedica un’ultima riflessione al processo di decarbonizzazione in atto nel settore marittimo e, in particolare, al ruolo che sta giocando il Gas Naturale Liquefatto: «Gli attuali livelli di prezzo raggiunti da questo combustibile mettono a rischio la soluzione del GNL quale carburante di transizione nel percorso verso il Net-Zero scelto dai vettori. Probabilmente, per i molti armatori che hanno investito sulle navi alimentate a Gas Naturale Liquefatto la sostenibilità economica delle stesse rischia di essere un miraggio nel breve medio termine».

Anche lo sviluppo del cold ironing, su cui il Ministro Giovannini ha puntato non poco in questi anni, solleva per Duci grossi problemi: «I porti italiani stanno investendo nella elettrificazione delle banchine e si trovano oggi di fronte alla necessità di offrire l’energia elettrica a prezzi sufficientemente convenienti, tali, cioè, da spingere gli armatori a preferire il sistema elettrificato on-shore rispetto a quello di alimentazione propria delle navi. Bisogna capire, però, se per il nostro sistema portuale la partita sia economicamente sostenibile. Tutti questi dubbi gettano non poche ombre sulle tempistiche dei processo di decabornizazione dello shipping».

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