«Riteniamo di aver fatto la cosa giusta. Abbiamo impugnato un provvedimento che consideriamo illegittimo. Questa iniziativa darà al Governo la possibilità di aprire un fronte di dialogo con la Commissione Europea per trovare una soluzione percorribile. Siamo ragionevolmente convinti che tutto questo servirà a stimolare un dibattito serio sulla specificità dei nostri porti».
A distanza di pochi giorni dal deposito del ricorso contro la decisione della Commissione di sottoporre i porti italiani alla tassazione d’impresa per la riscossione dei canoni, il presidente di Assoporti spiega le ragioni di una scelta difficile, non presa certamente a cuor leggero.
Daniele Rossi lo fa nell’ambito di una conferenza stampa organizzata appositamente dall’Associazione degli scali portuali italiani, e alla quale hanno anche preso parte il numero uno dell’AdSP del Mar di Sardegna, Massimo Deiana e il presidente dell’AdSP del Mar Adriatico Meridionale, Ugo Patroni Griffi, che hanno coordinato l’azione del pool degli avvocati Francesco Munari, Gian Michele Roberti e Stefano Zunarelli.
Come spiegato da Ugo Patroni Griffi, il ricorso delinea la specificità del modello italiano, chiaramente non assimilabile a quello altri Paesi. «Si tratta di un’operazione verità, supportata dallo stesso Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile. E’ una iniziativa che consentirà al Governo di chiarire che cosa sono realmente le nostre AdSP».
Griffi sottolinea la natura statale dei porti. «Il regime giuridico dei beni è di tipo demaniale e pertanto li sottrae alla proprietà privata. Possono appartenere solo allo Stato. Il demanio è gestito da un ente pubblico non economico che non realizza profitti e che non svolge attività di impresa. Tant’è vero che le nostre risorse economiche in denaro, che percepiamo in nome e per conto dello Stato, sono collocate presso la Banca d’Italia, non sono liberamente disponibili sui conti correnti delle AdSP».
L’impostazione di Bruxelles «rischia di mettere in discussione l’intera gestione nazionale del demanio. Non si vedrebbe, in alternativa, perché si debbano fare differenze tra situazioni che sono uguali: l’attività delle AdSP è da questo punto di vista giuridico identica a quella propria degli enti locali e dello Stato» ha spiegato Griffi.
Anche Deiana richiama la necessità che le prerogative dello Stato non vengano mercanteggiate come attività di impresa: «Il legislatore ha fatto una scelta ben precisa, predefinendo per la portualità italiana un modello pubblicistico cui non si possono applicare le stesse regole che disciplinano il funzionamento delle società spa imprese fornitrici di beni e servizi. Non si possono applicare le stesse regole a situazioni diverse. In questo la Commissione sbaglia».
L’obiettivo, secondo Rossi, è quello di strappare a Bruxelles un accordo soddisfacente per il nostro Paese: «Le AdSp e il Ministero, ognuno nel proprio ruolo, possono giocarsi bene questa partita. Qualsiasi altra soluzione si dovesse trovare nell’ambito del confronto con Bruxelles non potrà essere penalizzante per l’operatività e la capacità delle AdSP di continuare fare il loro lavoro».
Qualunque sia il percorso individuato, l’attuale modello delineato dalla Riforma Delrio va salvaguardato, se non altro perché non è stato ancora pienamente applicato. «Prima di abbandonarci a qualsiasi discussione sulla natura delle AdSP, dovremo esperire un periodo di piena applicazione della legge, all’esito del quale potremo veramente valutare se convenga o meno imporre un cambio di paradigma alla governance dei nostri porti».