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Big Carrier in cerca di investimenti

Terminal, un bene rifugio sicuro

di Redazione Port News

Dopo l’impennata in piena crisi pandemica, il mercato del trasporto marittimo di container sta sperimentando uno dei peggiori cali degli ultimi mesi. I tassi spot continuano a scendere, anche se rimangono comunque al di sopra dei livelli pre-Covid e la domanda globale lungo i traffici est-ovest risulta essere in vistoso calo, vuoi per effetto dell’indebolimento della domanda di consumo in un momento congiunturale difficile caratterizzato dal caro vita, vuoi per effetto delle scorte elevate che i distributori hanno preventivamente ricostituito in tempi non sospetti, per la preoccupazione di non doversi trovare scoperti in vista della stagione natalizia.

Con il rallentamento dell’economia globale e le aspettative di inflazione in mercati chiave come quello statunitense, molte compagnie di navigazione guardano con pessimismo al 2023. Il Covid resta una incognita, l’invasione russa dell’Ucraina e il rallentamento della Cina sono altre due belle pietre di inciampo in una visione del mercato che nel periodo Covid aveva temporaneamente rimosso dal vocabolario la parola “decrescita”.

Dopo i profitti a doppia cifra che gli armatori hanno fatto registrare nel 2021 e per buona parte del 2022, anche per effetto dei valori comunque alti delle tariffe di trasporto fissate nei contratti di lungo periodo stipulati a inizio anno, i big carrier si trovano oggi costretti a fare un bagno di sano realismo.

«I profitti totalizzati quest’anno sono significativi ma penso che siano numeri che potremmo non vedere mai più nella nostra vita» afferma il chief executive di Hapag-Lloyd, Rolf Habben Jansen, mettendo in fila i risultati finanziari fatti registrare dal vettore durante i primi nove dell’anno.

Tra Gennaio e Settembre, il gruppo ha portato a casa 13,8 miliardi di euro di profitti e un margine operativo lordo di 15,6 miliardi di euro. Performance alte, trainate soprattutto dalle tariffe di trasporto che nel periodo di riferimento si sono mediamente mantenute attorno ai 2938 dollari per ogni container da venti piedi trasportato. L’anno scorso, invece, i tassi non hanno invece mai superato i 1818 dollari a TEU.

Ma a crescere non sono stati soltanto i guadagni. Le spese di trasporto sono anch’esse salite, a 10,1 miliardi di euro, a causa principalmente dell’aumento del prezzo del bunker, che tra Gennaio e Settembre si è attestato attorno ai 755 dollari a tonnellata (contro i 452 dollari/tonn nei primi nove mesi del 2021).

Jansen rimarca come le prospettive di crescita per la restante parte dell’anno (previsto un EBITDA tra i 18,2 e i 20,1 miliardi di euro) rimangano incerte a causa delle numerose variabili geopolitiche in corso (Ucraina, interruzioni alla catena logistica non pienamente risolte, Covid-19).

Fronteggiare una situazione di questo tipo non sarà facile così come non sarà facile sostenere gli oneri derivanti dal mancato riempimento delle proprie portacontainer. E’ cosa nota che è molto più costoso far partire due navi riempite per la metà della loro capienza che non una nave a pieno carico. Jansen sottolinea come i costi variabili siano una componente importante, forse prevaricante, dei costi totali.

E’ un ragionamento che sul piano delle relazioni commerciali giustifica interventi mirati di riduzione della capacità offerta. Perpetrati pur di perseguire il più alto obiettivo del contenimento delle perdite. Una variante del vecchio adagio che il fine giustifica i mezzi.

«Finora non abbiamo dovuto ricorrere alla cancellazione programmata delle partenze» sottolinea Jansen nella ricostruzione fornita dal periodico specializzato Lloyd’s List, aggiungendo come gli unici blank sailing fino ad oggi autorizzati siano stati programmati per far fronte ai ritardi cumulati dalle navi dirette in Asia: «Abbiamo cancellato i viaggi con l’unico obiettivo di tornare in linea con le schedule programmate» afferma. Ma è chiaro che «dovremo togliere la capacità dal mercato se le tariffe di trasporto dovessero continuare a scendere».

Nel frattempo «il nostro solido bilancio di aiuterà a mantenere la rotta anche in acque perigliose» aggiunge. Per Jansen la priorità della società di armamento sarà quella di continuare a diversificare gli investimenti, puntando anche sull’integrazione verticale.

Hapag Lloyd ha da tempo ampliato il portafoglio delle proprie partecipazioni nel business delle attività terminalistiche, confermando l’ingresso nel gruppo Spinelli con l’acquisizione di una quota di minoranza pari al 49% e realizzando in passato investimenti in porti importanti come quello di Tanger Med in Marocco e di Damietta in Egitto (dove sorgerà un nuovo terminal in partnership con Contship Italia).

«Continueremo a investire nell’acquisizione di nuovi terminal, se dovessero verificarsene le possibilità» dichiara Jansen. «I carrier possono essere anche ottimi operatori terminalistici perché possono garantire stabilità e volumi» ha concluso.

Rolf Habben Jansen, CEO di Hapag-Lloyd
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