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Focus

Sarà un 2023 difficile per il settore

Terminalisti a corto di ossigeno

di Redazione Port News

Il 2023 potrebbe essere un anno particolarmente difficile per i conti dei terminal operator.

I margini di guadagno ai minimi storici caratterizzano già da alcuni mesi il settore, con rendimenti ridotti all’osso per effetto di una contrazione della domanda di trasporto marittimo.

Gli ultimi dati forniti da Drewry, aggiornati a Ottobre, mostrano come il traffico di container nei porti sia diminuito dell’1,3% a livello mondiale su base annuale. Complessivamente, l’andamento descritto è quello di un rallentamento progressivo del growth rate, che nel terzo trimestre si è attestato su un +0,2%, contro il +0,6 e il +3,8% registrati rispettivamente nel secondo e nel primo trimestre.

Entro la fine dell’anno, il Global Port Throughput Index dovrebbe registrare un aumento dell’1,5% rispetto all’anno precedente. Mentre per il 2023, le previsioni parlano di una crescita marginale che dovrebbe attestarsi attorno al +1,9%, al ribasso rispetto al +2,9% stimato nelle previsioni pubblicate a Giugno scorso.

Minori volumi di merce si traducono in minori possibilità di guadagno per i terminal portuali. Che si vedrebbero costretti ad operare in un contesto di sottoutilizzazione dei propri spazi operativi, in un mercato che, peraltro, appare essere sempre più volatile.

Se nel periodo pandemico, ritardi e anticipi sulla data di partenza, blank sailing e carichi extra organizzati all’ultimo minuto erano all’ordine del giorno, i servizi di collegamento non appaiono oggi essere meno irregolari.

A differenza, però, di quanto accaduto negli anni precedenti, la cancellazione delle partenze e  gli slittamenti degli orari schedulati, non servono tanto ad aggirare i problemi di congestione e operatività di cui hanno sofferto e, in parte, soffrono ancora i porti mondiali, ma sono considerati dai vettori un valido strumento per contenere il crollo della rate di nolo, in calo da più di 40 Settimane.

«Le compagnie di navigazione attive nel trasporto marittimo di container continueranno a perseguire una politica proattiva di gestione della capacità di stiva, cercando di mantenere in equilibrio domanda ed offerta» ha dichiarato l’analista di mercato di Drewry, Eleanor Hadland, durante un webinar organizzato dalla società di consulenza inglese.

Secondo Eleanor Hadland, la volatilità del trasporto marittimo e la nuova ondata di blank sailing potrebbe però contribuire a dilatare i tempi di permanenza della merce in banchina e nei piazzali, consentendo ai terminalisti di garantirsi un marginalità di guadagno grazie alle tariffe di stoccaggio.

Il quadro macroeconomico rimane però fortemente condizionato dalla durata e dall’intensità della guerra in Ucraina, i cui contraccolpi per l’economia mondiale nei prossimi anni restano altamente incerti. Il caro energia rappresenta un’incognita importante per i terminal operator, tanto quanto lo sono le tensioni sociali che si stanno verificando nei principali scali portuali del mondo.

Gli scioperi che hanno investito la Germania, l’Inghilterra e , financo, il Sud Africa, e che hanno portato migliaia di lavoratori ad incrociare le braccia in segno di protesta per il mancato adeguamento dei salari all’attuale tasso di inflazione, rischiano di compromettere la capacità operativa di molti terminalisti, portando a nuove possibili interruzioni della catena logistica.

Fonte: Drewry (Ports and Terminals Market)

Le pressioni inflazionistiche potrebbero insomma impattare sulle casse dei terminal più di quanto non abbiano fatto sino ad oggi i prezzi di elettricità e carburante, favorendo una dinamica più sostenuta delle spese per il lavoro.

Se durante il periodo pandemico, i terminalisti erano riusciti bene o male a far fronte ai problemi di congestione, e al conseguente aggravio dei costi operativi, grazie ai ricavi garantiti dalle tariffe di stoccaggio – in crescita per via dell’aumento medio dei tempi di permanenza della merce in banchina- negli ultimi mesi il fatturato si è progressivamente ridotto, proprio a causa dell’ondata di scioperi che ha ha rallentato o temporaneamente paralizzato le attività di imbarco e sbarco in banchina.

Insomma, costi energetici e lavorativi in aumento, volumi minori di merce e possibili nuove interruzioni alla supply chain globale spingono oggi molti terminal operator a guardare con preoccupazione al prossimo futuro.

Fonte: Drewry

I terminalisti hanno però, sempre secondo l’analista di Drewry, una via d’uscita, che è quella di chiedere, in occasione del prossimo rinnovo dei contratti con gli armatori, un aumento delle tariffe di imbarco e sbarco della merce, o meglio, un loro adeguamento legato all’attuale tasso di inflazione.

Il ragionamento fatto dalla Hadland è semplice: in questi anni i vettori hanno totalizzato profitti extra grazie alle rate di nolo, che sono rimaste alte per tutto il periodo pandemico, e che oggi sono comunque superiori del 61% rispetto ai livelli del 2019.

Se è vero che adesso si trovano in una situazione congiunturale difficile, è altrettanto vero i vettori hanno la possibilità di affrontare la tempesta economica senza troppe ripercussioni.

Dati gli alti profitti ottenuti anche soltanto quest’anno e considerato che molti contratti sono già legati all’indice di inflazione, «i carrier non hanno alcuna giustificazione plausibile per rifiutare ai terminalisti un adeguamento delle tariffe indicizzato al tasso di inflazione» ha sottolineato la Hadland.

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