Interventi

Mancato equilibrio tra domanda e offerta

Troppe navi in mare, troppa poca merce in stiva

di Marco Casale

Eccesso di stiva e insufficienti riempimenti di navi. Il business dei contenitori continua a bruciare miliardi di euro e le compagnie di navigazione reagiscono sempre nel solito modo: spingendo al ribasso i noli pur di non perdere il carico da imbarcare.

D’altronde sono anni che il business nel mercato dei container alterna discese ardite e risalite nell’arco di pochi mesi. Al rialzo dei noli sulla tratta Asia-Europa (con tariffe tra Shanghai e i porti nord europei cresciute del 4% a 825 dollari a TEU) fanno da contraltare i passivi in bilancio registrati dalla maggior parte delle shipping line. Un risultato negativo imputabile senz’altro al market share e alla necessità di perseguire maggiori economie di scala, complici anche l’aumento del prezzo del greggio (448 dollari a tonnellata, il livello più alto mai raggiunto dal 2014) e le tensioni dovute alla guerra dei dazi tra Usa e Cina.

Nonostante il 2017 e il primo semestre di quest’anno abbiano archiviato diversi segnali di ripresa – con margini di guadagno sui noli marittimi che hanno toccato il 16% (grazie anche all’oligopolio di un mercato in cui si susseguono fusioni e concentrazioni) – i principali analisti di mercato ritengono che la seconda parte del 2018 registrerà l’ennesima inversione di tendenza, con freight rate più bassi di quelli attuali.

La storia insomma si ripete: il mercato del trasporto marittimo di container non fa in tempo a dare qualche segnale positivo che subito ripartono massicci investimenti in nuove navi. In questo modo diventa ben difficile conseguire un riequilibrio tra domanda e offerta, obiettivo che potrebbe invece essere perseguito attraverso il disarmo su larga scala delle navi in circolazione oppure grazie allo spostamento di navi extralarge dalle linee in sofferenza con l’Europa verso i servizi transpacifici che collegano l’Estremo Oriente con la costa ovest degli Stati Uniti.

Di fronte alla scelta se tagliare la capacità di stiva oppure continuare a sostenere il rischio di noli bassi, i carrier optano regolarmente per la seconda. L’investimento in nuove navi operato dai 13 principali armatori è così cresciuto a un ritmo annuale del +9,15%, segno che le big companies continuano ad aumentare le quote di mercato invece che assicurarsi noli più alti.

Tornano di attualità le esternazioni rilasciate nel lontano 2016 dal chairman di Cosco Shipping Group Xu Lirong a un attonito giornalista del Lloyds List: «Non capisco perché lo shipping non corra ai ripari con misure anti-dumping. Non possiamo permettere all’industria di operare con prezzi che sono dodici volte più bassi rispetto ai costi attuali».

Allora i noli tra Asia e Europa viaggiavano al ritmo irrisorio di 50 dollari a TEU, eppure non va dimenticato che Lirong lanciava il suo grido di allarme all’indomani del crollo di Hanjiin. Poco prima di chiudere i battenti per bancarotta, la compagnia coreana era la settima a livello mondiale, con una flotta di 141 containership. Il suo fallimento ha acceso i riflettori su una crisi che abbraccia tutto il sistema del trasporto marittimo. Oggi continuano a esserci troppe navi in mare, quale altra compagnia dovrà fallire perché se ne prenda veramente atto?

Torna su