© Piet Sinke via www.flickr.com (CC BY-NC-SA 2.0)
Focus

Gli ostacoli della decarbonizzazione

Troppo tempo buttato in mare

di Redazione

La riduzione della congestione nei porti e dei tempi di attesa delle navi potrebbe contribuire ad abbattere in modo drastico le emissioni di CO2 prodotte dal trasporto marittimo. E’ quanto emerge da un nuovo studio realizzato dall’UCL Energy Institute di Londra e dalla società di consulenza UMAS.

Prendendo in esame il traffico navale tra il 2018 e il 2022, lo studio evidenzia come in questo periodo le navi abbiano speso tra il 4 e il 6% del loro tempo operativo in attesa fuori dal porto prima di attraccare in banchina: si tratta nella sostanza di 15-22 giorni all’anno sprecati a causa di problemi sistemici come quelli di congestione di un porto o come quelli relativi all’inadeguata standardizzazione dei dati e al mancato coordinamento tra i vari soggetti coinvolti nelle operazioni di carico e scarico delle navi.

In particolare, lo studio rivela che le navi chimichiere, le gasiere e le rinfusiere sono quelle che hanno trascorso in media più tempo all’ancora prima di riuscire ad essere lavorate in banchina: hanno spero in media il 5,5-6% del loro tempo operativo in attesa fuori dal porto. Le portacontainer e le petroliere hanno invece speso tra il 4,5 e il 5,5% del loro tempo in attesa.

Dalla riduzione dei tempi di attesa lo studio si attende un risparmio delle emissioni di circa il 10% per le navi portacontainer e per le rinfusiere, del 16% per le gasiere e le petroliere e di quasi il 25% per le chimichiere.

Un risparmio di gas serra notevole che potrebbe essere ottenuto grazie alla riduzione della velocità di navigazione che potrebbe essere attuata se le navi riuscissero ad attraccare in porto nello stesso momento in cui arrivano, senza cioè dover attendere in rada diversi giorni prima di essere lavorate.

Gli studiosi prendono in esame il Carbon Intensity Index (CCI), il rating di efficienza energetica delle navi correlato alla riduzione della riduzione annuale dell’intensità di carbonio operativo, sottolineando la validità di un approccio che spinge gli armatori non soltanto a migliorare l’efficienza energetica delle proprie navi ma anche di tutte quelle operazioni di interfaccia nave/porto che richiedono un sempre miglior coordinamento tra armatori e noleggiatori e tra armatori e operatori portuali.

Quella offerta dall’UCL non è una disamina disinteressata, ma prende le mosse dalle recenti critiche mosse al CCI da parte dalle grandi società armatoriali. Che starebbero facendo pressioni all’IMO perché, in sede di revisione della regolamentazione, arrivi ad escludere dalla metrica del Carbon Intensity Index le emissioni prodotte durante i tempi di attesa nei porti.

Gli armatori sostengono di non poter controllare queste emissioni, che di fatto rendono i punteggi CII delle proprie navi ingiustamente negativi. Ma secondo lo studio, inquadrare la metrica CII soltanto sul viaggio in mare avrebbe come inevitabile conseguenza quella di rendere più costoso il raggiungimento delle riduzioni di GHG imposte dalla nuova strategia dell’IMO.

“Lo studio mostra che il regolamento CII dovrebbe considerare tutti gli aspetti del viaggio e non solo il passaggio marittimo, come alcuni hanno proposto”, ha affermato il coautore dello studio, il consulente dell’UMAS, Haydn Francis.

“Tale approccio ha inevitabilmente il merito di spingere le parti coinvolte a trovare soluzioni condivise per ridurre l’intensità dei gas serra lungo tutta la catena del valore” ha aggiunto.

Lo studio rimarca più volte come la congestione portuale sia uno svantaggio da affrontare nel processo di decarbonizzazione. Prendendo a riferimento soltanto il settore del trasporto marittimo di container, Linerlytica evidenzia come risultino ad oggi trovarsi all’ancora ben 602 portacontainer, per un totale di 2,34 milioni di TEU.

Particolarmente elevata risulta essere la congestione nei porti cinesi di Shanghai/Ningbo, presso i quali si trovano in fila ben 112 portacontainer. I tempi di attesa in questi scali portuali sono saliti a una media di 4 giorni.

Una delle cause di questa situazione è dovuta all’aumento sostanziale dei flussi di traffico headhaul dalla Cina agli Stati Uniti, un effetto dell’annunciata decisione del presidente elettro Donald Trump di imporre nuovi dazi del 10% su tutta le merce proveniente da Pechino. Gli importatori statunitensi stanno chiaramente anticipando le spedizioni con l’obiettivo di ricevere la merce prima che scattino le nuove tariffe. Sebbene la corsa al front-loading risulti ad oggi essere inferiore alle aspettative, va dato atto del fatto che i volumi di merce trasportati dalla Cina verso la US West Coast risultano oggi essere del 15% superiori rispetto ai livelli dello scorso anno.

Dinamiche congiunturali a parte, gli studiosi dell’UCL/UMAS sottolineano come la risoluzione a questi problemi possa favorire una “transizione giusta ed equa”.  “Prendendo di mira tali periodi di inattività, l’IMO può contribuire a ottenere riduzioni significative delle emissioni, promuovendo allo stesso tempo miglioramenti più ampi nell’ottimizzazione del viaggio e nell’efficienza operativa complessiva”, ha concluso Francis.