Il Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti d’America (United States Trade Representative, USTR) ha annunciato venerdì scorso un piano per imporre tasse portuali alle compagnie di navigazione cinesi, alle navi costruite in Cina e a qualsiasi operatore marittimo che abbia nella propria flotta anche una sola nave costruita in Cina o una singola nuova costruzione su ordinazione presso un cantiere cinese.
“Per quasi tre decenni la Cina ha preso di mira il settore marittimo, logistico e industriale, e quello della costruzione navale, con l’obiettivo di acquisire una posizione dominante” si legge nella Ships Proposed Action presentata dall’USTR.
Secondo il rappresentante per il commercio “Pechino ha cercato di perseguire questo obiettivo svantaggiando le aziende statunitensi, i lavoratori e l’economia americana in generale attraverso la riduzione della concorrenza e delle opportunità commerciali e attraverso la creazione di rischi per la sicurezza economica derivanti da dipendenze e vulnerabilità”.
L’USTR fa presente come la quota di mercato cinese nel settore delle costruzioni navali sia passata dal 5% del tonnellaggio globale nel 1999 ad oltre il 50% del totale nel 2023. Ad oggi, più del 19% delle portacontainer in circolazione sono di proprietà cinese. Non solo, Pechino ha praticamente il monopolio nella produzione dei container (il market share è al 95%) e il controllo quasi assoluto nella produzione dei telai intermodali (con un market share che supera l’85%).
Sulla base delle informazioni ottenute durante le proprie indagini, il rappresentante commerciale degli Stati Uniti ha stabilito insomma “che la posizione dominante della Cina è irragionevole e grava o limita il commercio statunitense, ed è quindi perseguibile ai sensi della Sezione 301 (b) e 304(a) del Trade ACT”.
La proposta verrà limata e integrata od opportunamente corretta nelle prossime settimane. Quello pubblicato non è infatti il testo definitivo ma una bozza. L’USTR accetterà commenti pubblici sul suo piano d’azione fino al 24 marzo, quando terrà un’udienza pubblica. La decisione se procedere o meno spetterà comunque al presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.
Dall’analisi in dettaglio della proposta emerge come la prima categoria di tasse vada a colpire in modo significativo le compagnie di navigazione cinesi, soprattutto COSCO, che è attualmente il quarto carrier più grande al mondo (dopo MSC, Maersk, CMA CGM e Hapag Lloyd). Considerando che più della metà delle navi del liner cinese fa scalo nei porti statunitensi, l’esborso per il carrier potrebbe essere assai salato.
La Ships Proposed Action propone una extra tariffa massima di 1 milione di dollari per ogni scalo effettuato in un porto statunitense dai liner cinesi. In alternativa, si prevede una tassa portuale fino a 1000 dollari per ogni tonnellata netta di capacità espressa dalla nave operata dal liner cinese che faccia scalo in un porto USA.
Come accennato, il piano di azione prende di mira anche tutte le società armatoriali che abbiano navi realizzate presso i cantieri cinesi. La seconda categoria di tasse va quindi a colpire quasi tutti i principali liner.
Tra le proposte presentate quella di tassare le navi made in China fino ad un massimo di 1,5 milioni di dollari per ogni ingresso in uno scalo portuale statunitense.
In alternativa, il Trade office prevede di far pagare agli operatori un quid direttamente proporzionale al numero di navi “cinesi” presenti nella flotta. Gli operatori con il 50% o più di navi costruite in Cina nella loro flotta pagherebbero fino a un milione di dollari per ogni scalo effettuato presso un porto USA (per qualsiasi delle loro navi, non solo per quelle di costruzione cinese); quelli che abbiano nella propria flotta una quota superiore al 25% e inferiore al 50% di navi made in China pagherebbero sino a 750.000 dollari a chiamata, e quelli che abbiano nella propria flotta meno del 25% di navi realizzate in Cina pagherebbero fino a 500.000 dollari a chiamata.
Nella bozza figura anche una proposta alternativa o complementare che prende di mira gli ordini effettuati dalle compagnie di navigazione presso i cantieri cinesi. In questo caso, chiunque abbia nel proprio orderbook il 50% oi più di contratti firmati con le società cantieristiche cinesi o abbia in previsione di ricevere in consegna entro i prossimi 24 mesi dai cantieri cinesi il 50% o più delle navi complessivamente ordinate e in arrivo, si troverà a pagare sino a un milione di dollari per ogni scalo effettuato dalla propria nave presso un porto USA.
Secondo Lloyd’s List, il piano d’azione dell’USTR rischia di aumentare notevolmente i costi per un gran numero di navi che fanno scalo nei porti statunitensi, costi che verrebbero poi trasferiti agli importatori ed esportatori statunitensi tramite i cosiddetti surcharge (nel caso della merce in container).
Il settore che rischia di essere maggiormente colpito dalle nuove misure è proprio quello del trasporto marittimo di contenitori.
Il periodico britannico quantifica un extra costo di 334 dollari a FEU per ogni scalo effettuato da una portacontainer da 6000 TEU operata da un operatore che abbia più del 50% di navi costruite in Cina e che quindi debba pagare un’extra tassa di 1 milione di dollari a scalo.
Considerando che nel mercato della costa orientale degli Stati Uniti, i servizi provenienti dall’Asia fanno generalmente scalo in due o quattro porti statunitensi, le conseguenze per i vettori, e quindi, per gli importatori ed esportatori statunitensi potrebbero essere catastrofiche.
Sempre secondo il Lloyd’s List, un supplemento di 300 dollari a FEU sulle importazioni e le esportazioni a causa dell’azione USTR avrebbe come conseguenza quella di far aumentare dell’8% i noli spot applicati alle spedizioni tra Shanghai e Los Angeles, e del 43% quelli applicati alle spedizioni marittime da Los Angeles a Shanghai.
Anche Splash247 tira dal cilindro qualche numero. Prendendo a riferimento la società di analisi Jefferies, il sito specializzato di shipping ipotizza per le compagnie di navigazione un esborso di 150 dollari a TEU (o 300 dollari a FEU) per ogni scalo in un porto statunitense effettuato da una nave con capacità media di 10.000 TEU e a cui sia stata applicata una tassa portuale di 1,5 milioni di dollari.