Fortezza Vecchia di Livorno - Mastio e Moro incatenato
Foto di Mario Bellagotti - © AdsP Mar Tirreno Settentrionale
Memorie

Livorno d'altri tempi

Un porto costato somme immense

di Charles de Brosses

Brano tratto da “Viaggio in Italia, Lettere famigliari” (Parenti, 1959) 

Roma, 21 ottobre 1739

Se ben ricordo, miei cari Blancey e Neuilly, mi avete lasciato l’ultima volta a Livorno, intento a una furiosa leticata con la pioggia. Quando capii dunque che quella voleva a tutti i costi avere l’ultima parola, presi, con animo eroico, la risoluzione di bagnarmi piuttosto che restare più a lungo prigioniero. Immaginate una cittadina tascabile nuova nuova, carina da metterla su una tabacchiera: ecco Livorno. A chi arriva si presenta con le fortificazioni costruite e mantenute con incantevole eleganza. Queste sono di mattoni, come l’intera città. I fossati, anch’essi rivestiti dello stesso materiale, sono riempiti dall’acqua del mare. Si entra attraverso una via larga e lunga, tirata a squadra, sulla quale danno le due porte della città. Quasi tutte le vie sono fatte allo stesso modo, allineate, con le case più alte nella parte sinistra della città, dove abitano gli ebrei; ma le vie più belle sono a destra, dove sono stati scavati canali pieni di acqua di mare, come a Venezia, e costeggiati da viali da ambedue le parti. La via principale è interrotta da una piazza quadrata, vastissima, chiusa da un lato dalla casa di un commerciante, assai più bella del palazzo granducale che le sta accanto, e dall’altro dalla principale chiesa cattolica. Questa chiesa è più simpatica di molte altre cattedrali che conosco, non foss’altro che per il ricco soffitto dipinto e dorato, e per i suoi marmi di breccia viola. La maggior parte delle case della città erano dipinte a fresco, e doveva essere spettacolo grazioso; ma la vicinanza del mare, nemico naturale di tutte le pitture, le ha cancellate quasi per intero. […]

Oltre alle fortificazioni, Livorno ha vari castelli, affacciati alcuni sul porto, altri sulla piazza; ma nonostante questo è, a quanto si afferma, meno munita in realtà di quel che pare. Il porto si divide in tre parti: le due interne, chiamate comunemente la Darsena, sono per così dire nascoste entro terra, e separate dalla terza per mezzo del lungo molo sul quale sorgono i magazzini granducali. La prima di queste due parti contiene le galere: ne vidi solo tre. Sulla riva della seconda c’è la statua di Ferdinando de’ Medici, fiancheggiata da quelle quattro belle statue di bronzo che voi conoscete, e chiamate i Quattro Mori; l’opera è di Pietro Tacca. La rada e il porto vero e proprio erano pieni di navi mercantili. L’ingresso del porto mi apparve troppo largo ed esposto alla tramontana. È chiuso da un lato dal molo citato e dall’altro da una lunga gettata, in fondo alla quale c’è un piccolo forte sormontato da un faro. Per rompere le mareggiate ed impedire che esse danneggino la gettata, hanno ammucchiato lì davanti più pezzi di roccia di quanti ne abbia mai scagliato Briareo. In una parola, il porto e tutta la città devono essere costati somme immense. Non mi stupisco che i toscani rimpiangano tanto i Medici: ad ogni passo ci s’imbatte nelle testimonianze della loro magnificenza; ma la maggiore è senza dubbio l’aver fatto questa città così com’è, dalla prima pietra in su, opera che onorerebbe i grandi monarchi: ecco perché per tutto lo Stato è un grido unanime a loro lode, cosa rara per una famiglia che ha soppresso la libertà dei suoi compatrioti!

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