Il settore del trasporto di rinfuse secche (dry bulk) sta confermando le aspettative con rate di nolo medie che non si registravano dal 2011. Se nel 2017 avevamo iniziato a vedere la famosa luce alla fine del tunnel, adesso possiamo finalmente dire di esserne usciti.
I noli medi registrati nei primi nove mesi dell’anno sono di circa il 30% superiori a quelli che già mostravano una ripresa nello stesso periodo del 2017. Chiaramente, dopo una crisi così profonda e prolungata le sofferenze nel settore rimangono ma oggi ogni tipologia navale in questo settore è in grado di produrre un cash flow operativo positivo.
Come si è giunti a questo risultato? La domanda di trasporto, seppur in un trend di rallentamento di lungo periodo, ha ripreso a registrare tassi di crescita discreti; il che – unitamente a una maggiore disciplina da parte delle società armatoriali nel piazzare nuovi ordini ai cantieri – sta permettendo il graduale riassorbimento della overcapacity che si era generata negli anni successivi al boom di mercato. Se nel triennio 2006/2008 furono piazzati ordini per oltre 2.700 unità (pari a 235 milioni di Tonnellaggio di Portata Lorda), negli ultimi tre anni sono state ordinate “soltanto” 380 navi (pari a 51 milioni di TPL).
Questa ritrovata disciplina fa sì che da qualche anno la flotta cresca a ritmi modesti – meno del 2% nel periodo che va da gennaio a ottobre (2,5% includendo le Very Large Ore Carriers) – e questo nonostante si registri una fortissima riduzione delle demolizioni dovuta al miglioramento delle rate di nolo.
Entrando più nel dettaglio, si può affermare che la domanda di trasporto continua a essere fortemente influenzata dalle importazioni cinesi di minerale ferroso (rimaste sostanzialmente sui livelli record dello scorso anno) nonché di carbone da vapore, che a gennaio-agosto hanno fatto registrare un aumento del 22% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Le importazioni di carbone sono state molto forti anche India, con un incremento del 9% durante i primi sette mesi dell’anno. Resta invece stabile l’import proveniente dall’Indonesia mentre è aumentato quello di carboni di alta qualità provenienti da Sud Africa, Stati Uniti e Australia, che “pesano” maggiormente poiché richiedono impieghi su rotte più lunghe.
Se guardiamo al futuro, non possiamo comunque ignorare alcune preoccupazioni legate alla Cina (vero motore dei traffici di rinfuse secche) e concentrate principalmente su tre aspetti.
Innanzitutto la produzione di acciaio di Pechino potrebbe subire presto o tardi una battuta d’arresto, peraltro prevedibile tenuto conto dei suoi attuali ritmi di crescita (+8% nei primi mesi dell’anno). Nel periodo maggio-agosto la Cina ha prodotto qualcosa come 80 milioni di tonnellate al mese: a indurre questo aumento di produzione sono anche i margini di profitto elevati che spingono le acciaierie locali ad aumentare al massimo il ritmo di lavoro al fine di beneficiare di un contesto di prezzo che si aggira attorno ai 4.000 renminbi al metro (pari a 500 euro).
Altro fenomeno su cui vale la pena riflettere è l’affermarsi sulla scena mondiale del Gas Naturale Liquefatto (GNL), destinato a sostituire il carbone sia pure in modo molto graduale.
La guerra dei dazi con gli Stati Uniti – iniziata con l’introduzione delle extra tasse sull’acciaio volute dal presidente Donald Trump e proseguita con la decisione di Pechino di tassare i prodotti agroalimentari statunitensi – sta infine avendo un forte impatto dal punto di vista mediatico ma per il momento non ha creato squilibri nel mercato delle rinfuse solide.
L’import di acciaio cinese negli USA vale infatti meno del 1% del totale della domanda complessiva di dry bulk e al tempo stesso stanno pian pian fiorendo una serie di traffici con destinazioni prevalentemente nel Sud Est asiatico.
Per questi motivi, a meno di grossi sconvolgimenti sociopolitici, non mi aspetto forti rallentamenti nella domanda di trasporto di merci alla rinfusa. Non assisteremo nemmeno a scossoni significativi nel settore delle newbuilding. Oggi, il portafoglio ordini in termini di TPL rappresenta l’11% della flotta complessiva, mentre le unità navali con oltre 20 anni di età sono l’8% del totale.
Nei prossimi tre anni la disponibilità di tonnellaggio non dovrebbe insomma crescere a una media annua superiore al 2%, tenendo anche conto dell’incremento delle demolizioni dovuto alle nuove regolamentazioni.
L’“International Convention for the Control and Management of Ships’ Ballast Water and Sediments” (BWM) comporta l’obbligo dell’installazione – tra il 2017 e il 2024 – dei sistemi certificati per il trattamento delle acque di zavorra su tutte le navi impegnate in traffici internazionali.
L’Annex 6 della Convenzione MARPOL richiede invece che entro il gennaio 2020 ogni nave debba passare all’utilizzo di combustibili con un tenore di zolfo inferiore allo 0,5% (più costosi rispetto al tradizionale HFO) oppure all’installazione di Exhaust Gas Cleaning Systems (EGCS) comunemente chiamati scrubber.
L’entrata in vigore di queste due normative non avrà soltanto l’effetto di “spingere” alla demolizione le navi più vecchie (su cui non ha senso andare a investire sia da un punto di vista tecnico che economico) ma anche quello di far aumentare i tempi di offhire per quelle unità che decideranno di mettersi in regola, dal momento che per l’installazione di quanto richiesto richiederanno tempi più lunghi nei bacini di carenaggio.