Qual è la cura per la crisi della supply chain? Su questa domanda si stanno arrovellando da mesi analisti, operatori, economisti e professionisti del settore. L’ultima ricetta in ordine di tempo viene dalla rivista Forbes che propone di gestire le tensioni della catena di approvvigionamento come la crisi finanziaria globale del 2008, stabilendo cioè regole e principi di buon funzionamento a livello sovranazionale auspicabilmente in seno al G7 o al G20. L’idea è quella di uno sforzo concertato e coordinato da parte della comunità internazionale con, anche, la partecipazione di tutti gli attori della supply chain.
Anche se quanto proposto non sarà la panacea, è giusto chiedersi se sia possibile ricavare qualche insegnamento dalla crisi finanziaria del 2008. Facciamo allora un passo indietro e cerchiamo di capire come siamo arrivati a questo punto. I tre pilastri della supply chain sono la domanda, l’offerta e la logistica, che è il trait d’union di tutti gli anelli della catena di approvvigionamento. La supply chain è un sistema osmotico: se uno solo degli elementi subisce una perturbazione, tutta la catena ne risente. La logistica è, fuor di metafora, il baricentro del sistema: da un lato rifornisce le aziende per la produzione e dall’altro consente il recapito (fisico) dei prodotti finiti sui mercati di consumo.
Il sistema sembrava avere un suo equilibrio e funzionare senza troppi intoppi. Lo scenario, però, è repentinamente cambiato a causa della pandemia. La richiesta di consumi è incrementata mentre le fabbriche hanno subìto un rallentamento, per le chiusure ed i blocchi, creando un iniziale squilibrio dal lato dell’offerta. Questa tensione è stata sicuramente accentuata dalla scelta delle imprese di utilizzare modelli produttivi “just in time”. Alla ripresa, anche le aziende hanno progressivamente incrementato gli ordini di materie prime e semi lavorati, in alcuni casi per recuperare il terreno perduto ed in altri per stare al passo se non addirittura per anticipare le tendenze del mercato.
La logistica, che ha dovuto fare i conti -in ordine sparso- con i ritardi, le congestioni, la carenza di container, la scarsità di autisti e l’incremento dei costi dei trasporti, è stata sopraffatta dall’eccesso di domanda e non è riuscita da sola a riequilibrare un sistema già fortemente sbilanciato. Da qui la crisi, sia della logistica sia della produzione.
Volgendo ora lo sguardo al 2008, uno degli effetti della crisi finanziaria fu la contrazione imprevista della domanda in svariati settori, che mise a dura prova le catene di approvvigionamento a livello globale come mai in precedenza. Nonostante lo scenario fosse differente (si trattava di una crisi di fiducia che aveva portato ad una contrazione della domanda), rileggendo gli scritti di allora sembra che i problemi che attanagliavano la supply chain fossero molto simili a quelli di oggi.
Già nel 2014 Kai Hoberg (professore universitario) e Knut Alicke (consulente aziendale di supply chain management) indicavano, in un articolo uscito sulla rivista SupplyChain247, una serie di azioni necessarie a prevenire e/o far fronte a qualsiasi tipo di futura crisi. Secondo gli autori, i principali correttivi da adottare erano i seguenti: (i) i manager della supply chain dovevano acquisire una chiara comprensione dei potenziali scenari della domanda, poiché proprio sulla domanda doveva essere pianificata tutta la supply chain; (ii) le aziende dovevano programmare e gestire le scorte in modo da prevenire o ridurre al minimo i ritardi; (iii) le imprese dovevano fare il possibile per creare catene di approvvigionamento il più possibile flessibili per far fronte ad ogni possibile imprevisto. I rimedi di allora sono molti simili a quelli proposti oggi.
Viene da chiedersi che cosa abbiamo imparato se a distanza di anni i problemi non solo sono rimasti gli stessi ma si sono addirittura ingigantiti. Probabilmente la crisi attuale non sarebbe stata evitata ma (forse) gli effetti avrebbero potuto essere più lievi o maggiormente gestibili.
Per evitare che in futuro si riproponga una crisi di portata ancora maggiore, è necessario intervenire senza ritardo. La supply chain è un ecosistema unitario ed interconnesso e come tale deve essere considerato: i problemi di uno sono i problemi di tutti. D’altronde come teorizzava il fisico quantistico Paul Dirac, se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possono più essere descritti come due sistemi distinti, perché in qualche modo diventano un unico organismo.
Dopo la crisi del 2008, le banche hanno dovuto incrementare le loro riserve per garantire maggiore resilienza al sistema. Oggi è forse necessario partire da una ridefinizione dei modelli di business alla luce, proprio, dei rischi della catena di approvvigionamento. Dunque, time is now. D’altronde tutti coloro che dimenticano il proprio passato, sono condannati a riviverlo.