Contro il progetto di nuova diga foranea del porto di Genova ora sparano tutti a palle incatenate. Adesso è facile, quasi scontato. Non era così soltanto sino a qualche mese fa. Il coro dei silenzi imbarazzati si è finalmente dissolto come neve al sole: non stupisce, forse, visto il clima rovente di queste settimane.
Prima, al massimo, si bisbigliava, tra tecnici, sottovoce, dandosi di gomito. I pochi che avevano osato avanzare pubblicamente dubbi erano stati considerati appartenenti al partito disfattista, nemici del progresso e della portualità nazionale.
La questione è molto rilevante, in effetti. Si tratta dell’opera più importante inclusa nel PNRR per lo sviluppo del sistema portuale italiano: in origine era quotata un miliardo e duecento milioni di euro, ed era dotata di un finanziamento di mezzo miliardo nell’ambito del Next Generation EU.
Eppure, esistevano fin dall’origine motivi per interrogarsi sulla realizzazione di questo investimento. Innanzitutto, avrebbero dovuto essere tenute in conto considerazioni di carattere strategico. Nella visione del sistema portuale nazionale definita sin dalla prima versione del PNRR l’asse di intervento si basava sulle cosiddette “due ascelle”, Genova e Trieste: il resto era appendice. Gli aggiustamenti successivi sono stati sostanzialmente lessicali, senza alcuna modifica sostanziale nella linea strategica individuata.
Si tratta di una ricostruzione non solo fantasiosa, ma anche profondamente sbagliata: nella evoluzione del disegno geostrategico e geopolitico internazionale, è il Mediterraneo ad essere la matrice centrale delle opportunità e dei rischi. Il baricentro nordista della visione portuale indebolisce il posizionamento nazionale, che dovrà fronteggiare nei prossimi decenni una competizione che avrà il suo elemento portante nella gronda meridionale del Mediterraneo.
Nella prospettiva strategica diminuiranno i traffici transcontinentali, per effetto della regionalizzazione della globalizzazione. Conteranno di più le distanze medie, e la competitività si giocherà maggiormente sulle autostrade del mare che sui contenitori. Seguendo la ormai consueta tradizione italica di costruzione del pensiero strategico sulla base del passato, piuttosto che su una analisi degli scenari futuri, la piattaforma concettuale della portualità nel PNRR riflette la stagione precedente della globalizzazione. Ci arriviamo troppo tardi, e ci proiettiamo nei decenni precedenti, invece di precedere le traiettorie del cambiamento.
Sempre sotto il profilo strategico, andava osservata una altra singolarità del progetto di nuova diga foranea. Una mobilitazione così ingente di risorse pubbliche andava sostanzialmente a vantaggio di un solo concessionario. Non ci voleva forse la zingara a capire che una analisi costi benefici sarebbe stata un esercizio disastroso, se mai fosse stata condotta questa analisi non in logica microeconomica ma in logica macroeconomica.
Forse, proprio questo dettaglio ha indotto molti, forse troppi, ad un esercizio di prudenza che ha francamente rasentato l’ossequio. Sembrava quasi un inchino davanti al porto di Genova: viviamo una stagione nella quale gli oligarchi del mare esercitano, su scala europea, un potere debordante, privo di quei necessari meccanismi di bilanciamento e controllo tipici di un capitalismo liberale.
Poi, esistevano una serie di ragioni tecniche che avrebbero dovuto indurre ad un atteggiamento maggiormente riflessivo. Ancor prima dell’aumento dei costi dettato dall’inflazione, la previsione economica sui costi dell’investimento era particolarmente scozzese (non dico ligure per non scadere in un luogo comune), non corrispondente alla realtà di un intervento molto complesso dal punto di vista esecutivo. Per queste stesse ragioni, l’idea che l’opera si potesse completare entro il 2026, come richiede il Next Generation EU, rappresentava un auspicio privo di alcun fondamento.
Chi, come me, metteva in evidenza sin da subito questi aspetti, veniva considerato il solito rompiballe. Poi, a marzo del 2022, è accaduto che il direttore tecnico dell’opera, Piero Silva, si sia dimesso, non solo mettendo in evidenza proprio le estreme contraddizioni sugli aspetti tecnici del progetto, ma anche proponendo una soluzione meno invasiva e più efficace, anche perché allarga i benefici del progetto ad altri segmenti di attività marittima nel porto di Genova. L’attuale progetto viaggia verso i due miliardi di euro di costo, e potrà essere realizzato ragionevolmente non prima del 2035.
Lo “sciogliete le righe”, però, si determina a giugno, quando Luigi Merlo dichiara che “dobbiamo dedicare ancora qualche giorno all’analisi tecnica del basamento e della lunghezza della nuova diga di Genova per poi potere partire bene”. Quando a pronunciare queste parole è il presidente di Federlogistica, che però è anche direttore delle relazioni istituzionali in Italia del Gruppo Msc, significa proprio che il clima è cambiato.
Luigi Merlo ha aggiunto: “Ci sono osservazioni che vengono da diversi tecnici, specialisti e progettisti che anch’io ho sentito e che hanno mosso alcune preoccupazioni rispetto alla complessità di questa opera che sarebbe unica per lunghezza e complessità. Se così fosse credo che una pausa di verifica, se le procedure lo consentono (non so a che punto sia lo stato dell’attuazione), secondo me sarebbe utile per fare qualche approfondimento. Perchè se si avviasse il progetto e poi si bloccasse, bisognerebbe evitare di avere un nuovo Mose. Essendo una delle principali opere marittime, forse la più importante costruita in Italia, credo che questo tipo di riflessione da chi è competente debba essere ascoltata”.
Sempre Luigi Merlo ha inoltre ricordato come i lavori della gronda autostradale di Ponente siano strettamente correlati a quelli della diga perchè “lo smarino degli scavi dovrà essere utilizzato per i basamenti della nuova diga e per il riempimento dei cassoni. Senza il materiale della gronda servirebbe reperire quantitativi enormi di materiali”.
Ma non è stato solo Luigi Merlo a richiedere approfondimenti e aggiornamenti alla procedura che ha visto il Commissario straordinario Paolo Emilio Signorini approvare in via definitiva il progetto di fattibilità tecnica economica della nuova diga foranea e trasmettere, ad inizio giugno, le lettere di invito per presentare offerte per l’appalto integrato complesso per la realizzazione della fase 1. Nessun soggetto economico ha presentato offerta, ed ora si intende proseguire secondo le modalità delle trattativa privata.
Il parere dei costruttori è stato messo chiaramente in evidenza dalla neopresidente di ANCE, Federica Brancaccio: l’appalto deve essere aggiornato con quanto previsto dal ‘decreto aiuti’, che impone alle stazioni appaltanti di procedere subito con rialzi fino al 20%, applicando anche il prezziario di luglio 2022. All’orizzonte, ha preannunciato il presidente di Ance Genova, potrebbe esserci un ricorso al Tar “come già avvenuto recentemente nel Lazio con conseguente ritiro del bando”: il riferimento è all’istanza cautelare presentata da Ance e da vari costruttori sul bando da 43 milioni per i lavori al porto di Fiumicino.
Ma non ci sono solo questioni economiche da risolvere. Nella lettera indirizzata a Palazzo San Giorgio dai costruttori sono criticate anche alcune lavorazioni per le quali si prevedono economie di scala ma non viene debitamente considerata la condizione di lavoro in mare aperto, non viene riconosciuto economicamente lo sforzo in termini di produttività necessario per garantire, come richiesto, una contrazione dei tempi di 1 anno, così come non viene considerata la possibilità di riutilizzare per i riempimenti dei cassoni che comporranno la nuova diga i materiali risultanti dalla demolizione della diga attuale.
Di tutti questi temi si poteva discutere forse già due anni fa, quando, sulla base di una analisi seria e serena, si potevano mettere in evidenza, per correggerli, tutti i punti di criticità e di debolezza che oggi sono emersi con chiarezza. Non tutti i mali, però, vengono per nuocere, a condizione che si voglia rimettere in carreggiata il progetto senza perseverare nell’errore di impostazione iniziale. Insistere sulla attuale configurazione del progetto sarebbe un errore capitale, capace solo di determinare un verticale peggioramento competitivo del porto di Genova per i prossimi anni.
I suggerimenti tecnici di Piero Silva sono una ottima base di discussione per realizzare una nuova diga foranea per il porto di Genova che sia sostenibile e che porti beneficio ad un insieme più esteso di attività marittime. La documentazione è chiara e potrebbe consentire una correzione di rotta in una direzione certamente capace di determinare miglioramenti per l’accessibilità del porto stesso.
Poi, quando si vorrà cominciare una discussione strategica sulla portualità italiana, non sarà mai troppo tardi.