Quello del gruista di banchina non è un lavoro semplice. Andrea Pizzi ne sa qualcosa. 42 anni spesi a caricare e scaricare argille, sabbie, fertilizzanti e biomasse nel Terminal Calata Orlando di Livorno, a bordo di quelle che un tempo venivano chiamate “mancine”, le cosiddette gru di grossa taglia.
Tra pochi mesi lascerà il testimone di famiglia al nipote Federico, ma ancora oggi Andrea continua a lavorare con la stessa energia degli inizi. “Più che un mestiere, quella del gruista è una vocazione” racconta. “La gru è quasi una compagna di vita, da cui a stento vorresti separarti”.
Certo, negli anni 80, quando il giovane Pizzi ha cominciato a fare il “mancinaio” nel terminal livornese specializzato nella movimentazione di rinfuse solide, la vita in porto era ben diversa da quella attuale: “Oggi ogni terminal è altamente specializzato nella movimentazione di una precisa tipologia di merce: caricare e scaricare container richiede una formazione molto diversa da quella richiesta, ad esempio, per il carico/scarico di sabbie o cippato. Anni fa, invece, ogni giorno era un’avventura: le mancine su cui operavamo non erano dotate di moderni joystick ma avevano due o quattro leve da azionare e a volte ci trovavamo ad operare in piedi, con la testa fuori dalla cabina”.
Anche i tempi di carico e scarico della merce erano molto diversi: Andrea indica la nave alle spalle: una portarinfuse da 7000 tonnellate: “Con una moderna semovente e una benna da 16 metri cubi, una nave così la lavori in tre turni. Allora ci poteva volere anche una settimana” afferma.
Quello del gruista è chiaramente un lavoro rischioso: “Lavori in quota. E’ normale che sia così. Un “mancinaio” non può permettersi distrazioni quando lavora. A volte, anche il più piccolo errore può mettere a repentaglio la vita dei compagni che lavorano a banchina. La mia più grande soddisfazione in questi 42 anni di carriera è proprio questa: non aver accidentalmente subito o causato infortuni” dice.
Questo è il ricordo più bello che Andrea si porterà dietro della sua esperienza ultra quarantennale. Il più spiacevole, invece, è legato al disastro del Moby Prince, in cui morirono 140 persone: “Quella sera, la terribile sera del 10 aprile 1991, c’erano diverse gru che lavoravano ed io ero a bordo di una di queste: ricordo quella nebbia, il fumo che si sprigionò dall’incendio: dalla mia gru ho visto l’inferno. E questa sensazione di sgomento, terrore, me la porterò per sempre con me”.