“Un episodio inquietante che ci invita a riflettere su come spesso siano le persone a dover pagare lo scotto più alto ogni qual volta l’innovazione tecnologica intervenga a modificare non soltanto il lavoro umano ma a definire nuovi paradigmi sociali”. Alberto Pagani commenta così la decisione di Maersk Italia di licenziare quattro lavoratori dipendenti del reparto customer service nella sede genovese e di sostituire parte delle loro attività con l’intelligenza artificiale.
L’ex capogruppo del Partito Democratico in Commissione Difesa alla Camera durante la legislatura XVIII, e docente e advisor nel settore della sicurezza presso l’Università di Bologna, prende le mosse dalle dichiarazioni rese dal direttore generale di ANCIP, Gaudenzio Parenti, in una intervista recentemente sviluppata su Port News: “Ha ragione Parenti, le questioni che attengono all’IA devono essere affrontate in maniera organica con la Politica, le organizzazioni datoriali e sindacali. Va chiaramente sviluppato un ragionamento non occasionale ma strutturale” ammette.
“Una cosa è certa, questi processi innovativi hanno una portata globale e non possono essere fermati. L’idea che uno Stato possa dotarsi di uno strumento regolativo che impedisca il cambiamento è del tutto velleitaria. Chi pensa di poterlo fare rischia soltanto di fare la fine dei luddisti e di rimanere travolto dalla nuova rivoluzione tecnologica” aggiunge. “Quello che credo la politica possa fare è provare a gestire i cambiamenti di questa portata”.
In che modo? “Dando alle persone gli strumenti per capire come imparare ad usare i nuovi strumenti. L’Intelligenza Artificiale sostituisce una parte essenziale del lavoro umano, che è quello cognitivo. Quantunque le nostre facoltà intellettuali si siano oggi notevolmente ridotte a causa della nostra dipendenza passiva dai telefonini – cosa che disincentiva l’esercizio al pensiero autonomo e critico -, lo sforzo che dobbiamo fare è quello di provare a non lasciarci guidare passivamente dalla tecnologia”.
Pagani prende ad esempio ciò che è successo nel campo della robotica per sviluppare meglio il proprio ragionamento: “La macchinizzazione, il simbolo della prima rivoluzione industriale, ha sicuramente travolto la forza lavoro umana ma gli operai non sono scomparsi. Certo, non avvitano più bulloni, come si vedeva nella scena della catena di montaggio del film Tempi Moderni, ma hanno competenze diverse, più specialistiche e gestiscono essi stessi le macchine in un sistema socio-tecnico”.
Lo stesso vale per l’IA, con la differenza di fondo che questa tecnologia non sostituisce parte del lavoro umano, quello muscolare, ma quello intellettuale. E si tratta di una sfida che l’uomo non può vincere. “D’altronde, basta pensare a quello che può fare oggi Chat Gpt per comprendere quanto sia alto il divario tra l’uomo e la macchina: un essere umano impiegherebbe come minimo uno, due giorni per realizzare quanto un chat bot può eseguire in un minuto”.
E allora la battaglia da affrontare è un’altra: “Credo che la cosa più ragionevole da fare non sia quella di fermare il tempo e difendere l’attuale modello di lavoro, ma riconvertire la capacità lavorativa e, assieme, l’organizzazione delle regole del lavoro umano. Dobbiamo dare per scontato che i nuovi cambiamenti tecnologici distruggeranno per sempre il nostro sistema lavorativo, creandone un altro. Si tratta di un fenomeno che interviene a modificare non soltanto lo shipping, che per sua natura è globale e connesso, ma anche l’attività della più piccola azienda italiana. Quello che è accaduto in casa Maersk accadrà presto anche sotto casa tua: si tratta soltanto della punta della lancia. La distruzione del lavoro tradizionale interesserà ogni tipo di professione, arrivando a coinvolgere le redazioni dei giornali e tutto ciò che sia lavoro creativo e assemblativo”.
La strada da percorrere è allora quella dell’aggiornamento professionale e della formazione, anche se secondo Pagani “non saranno certo quattro corsi di formazioni finanziati dall’UE a darci gli strumenti necessari a interpretare il cambiamento. Occorre tutte le leve per gestire questa rivoluzione: quella fiscale, quella regolativa e quella incentivante: non basta una regola ma serve un sistema di regole che tenga insieme politiche del lavoro, fiscali e contributive”.
Anche l’Europa deve fare la propria parte. “Il regolamento dell’UE sull’uso dell’intelligenza artificiale (IA ACT) – afferma l’ex parlamentare del PD – è una velleitaria idea di regolazione di un mondo globalizzato. Quello che regoli in Europa non funziona in Cina o negli USA. Al massimo impedisce alle nostre aziende di competere ad armi pari con quelle extra-europee”.
In fondo, la stessa cosa è accaduta con la legge sugli Aiuti di Stato: “Per tutelare la concorrenza abbiamo previsto delle regole che impediscono ad uno Stato di aiutare una propria azienda. L’obiettivo è nobile ed è quello di creare un level playing field comune nell’ambito del quale un’azienda francese e una italiana competano ad armi pari, senza ricevere indebiti aiuti dal proprio Stato. Peccato però che la Cina finanzi con risorse pubbliche le industrie private, rendendole talmente efficienti da averle fatte diventare molto più competitive delle nostre”.
Per Pagani sbaglia chi ritiene di poter fronteggiare il nuovo che avanza rifugiandosi in una sorta di splendido isolazionismo: “Si tratta di una ipotesi irrealizzabile: uscire dalla globalizzazione è una cosa che semplicemente non si può fare, una favola da raccontare ai creduloni. Purtroppo, c’è una certa politica sovranista che alimenta questa narrazione, che mi ricorda un po’ l’autarchia di Mussolini, che il caffè se lo faceva con la cicoria. Nell’era dell’Internet Of Things nessuno può pensare di gestire la tecnologia in modo autonomo e indipendente”.
Il docente universitario torna al tema che più gli sta a cuore: “Bisogna insegnare all’uomo a usare la macchina, non pensare di difendere l’uomo dalla essa. Perché sarà soltanto in quest’ultimo caso che la macchina potrà diventare un pericolo per la persona. Si tratta insomma di capire chi è l’appendice di chi: se il lavoratore è un’appendice dell’IA, allora sarà quest’ultima a governare i processi, non il contrario”.
L’unico modo per uscirne, allora, è quello di arrivare a comprendere il portato di queste innovazioni: “L’imperatore filosofo Maro Aurelio riteneva che di ogni singola cosa dovessimo chiederci che cosa sia in sé, quale sia la sua natura. Dobbiamo dunque imparare a capire in che modo le macchine possano essere utili ai nostri fini, non il contrario. Si tratta di un processo sociale che va costruito nel tempo: o proviamo a trasformare il mondo del lavoro o non si salva più nessuno”.
