Interventi

Una nuova agenda euro-atlantica

USA e UE, Pivot to Asia

di Andrew Small

Esperto del German Marshall Fund of The United States

In un periodo difficile per le relazioni transatlantiche, l’Asia è una delle aree del mondo in cui gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno trovato oggi nuovi modi per cooperare pienamente.

Questo fatto è tutt’altro che ovvio, anche per molti osservatori informati. L’escalation delle politiche sui dazi commerciali tra USA e UE, le preoccupazioni europee sull’avvio di una nuova stagione della guerra fredda, questa volta tra Pechino e Washington, e le ampie divergenze su questioni che vanno dal cambiamento climatico ai rapporti da tenere con l’Iran, hanno senza dubbio avuto un impatto negativo sulla volontà e la capacità delle due parti di coordinare le loro relazioni diplomatiche.

Tuttavia, sia pure in una situazione segnata da reciproche diffidenze, l’Europa si trova oggi a giocare un ruolo di primaria importanza nello scacchiere della politica statunitense. La necessità da parte dell’amministrazione Trump di sviluppare una policy di contenimento dell’espansionismo militare cinese ha portato gli USA ad assegnare un ruolo primario ai partner protagonisti dell’architettura di sicurezza messa in atto in Asia. L’ampliamento, poi, degli spazi concorrenziali, non più circoscrivibili soltanto al potenziale bellico delle due potenze, ma anche al commercio e all’innovazione tecnologica, ha contribuito a rafforzare in particolare il posizionamento strategico dei partner europei.

Anche in Europa è in corso un ripensamento della Cina per ragioni simili a quelle che hanno portato a cambiamenti nella politica statunitense. Tra queste, le preoccupazioni per il crescente autoritarismo del Paese sotto Xi Jinping e un senso più acuto dei rischi derivanti dalla sua strategia di espansione geo-economica. Il cambiamento di rotta europeo verso un approccio molto più scettico e critico nei confronti del Dragone è stato reso pubblico nella comunicazione congiunta dell’UE pubblicata lo scorso marzo, dove la Cina è stata definita come “rivale sistemica”.

È stato soprattutto a partire da quel momento che i policy maker statunitensi hanno iniziato a considerare il Vecchio Continente come una sponda fondamentale nel braccio di ferro con Pechino. Agli occhi della Casa Bianca l’UE è infatti un potenziale moltiplicatore di forze e una fonte di leva supplementare in alcuni settori che vanno dal finanziamento delle infrastrutture alle azioni comuni sulle pratiche economiche cinesi. In altri ambiti, come quello dello screening degli investimenti e il controllo delle esportazioni, la cooperazione con l’Europa è una condizione preliminare per il perseguimento di un’adeguata strategia di gestione dei rapporti con la Cina.

I progressi pratici in questi settori hanno però registrato notevoli oscillazioni. L’agenda commerciale è stata tenuta in ostaggio dalla politica protezionistica statunitense, di cui sono corollario le ripetute minacce di Trump di incrementare i dazi sia verso i cinesi che verso gli stessi partner europei. Anche la contesa per il dominio dei processi di trasformazione digitale rappresenta un case study importante con effetti indiretti sull’economia reale e sulla sicurezza. Quel che è certo è che entrambe le parti devono ancora trovare – sia internamente che tra di loro – il giusto equilibrio per ottenere il massimo beneficio dalle interrelazioni economiche, tecnologiche e scientifiche con la Cina.

Nei prossimi anni l’agenda euro-atlantica è destinata ad arricchirsi di nuove macro-voci: mentre la cooperazione nell’area indopacifica in senso lato sarà uno dei principali obiettivi geografici da raggiungere, le politiche di contenimento dell’avanzata cinese coinvolgeranno una serie di asset strategici, e metteranno sotto-stress la capacità delle stesse democrazie occidentali di continuare a fissare regole standard globali in settori che vanno dal monitoraggio degli investimenti alle regole anti dumping.

Nonostante la natura profondamente interconnessa dell’economia transatlantica e dell’alleanza di sicurezza, la maggior parte dei dibattiti sulle questioni di politica industriale, di sicurezza della catena di approvvigionamento, e di difesa è però condotta oggi su binari separati.

In un contesto profondamente alterato dall’ondivago approccio della Casa Bianca, e segnato, da una parte, dalla fine del multilateralismo americano, dall’altra, dall’affermarsi delle ambizioni egemoniche della Repubblica Popolare Cinese, l’UE ha comprensibilmente diretto i propri sforzi più verso la costruzione di una “autonomia strategica” che non verso la ricerca di una convergenza transatlantica.

Proprio adesso che il rapporto tra la Cina e gli Usa sembra essere entrato in un’era di concorrenza strategica, l’Europa ha bisogno di sviluppare una riflessione più approfondita su quale debba essere il ruolo che vuole giocare in questa partita, se quello di osservatore o interlocutore proattivo. I policy maker europei dovranno insomma fare un bilancio più serio dei costi a breve termine che sono disposti a sostenere se vogliono far prevalere i loro valori e interessi. Che sia sistemica o no, la rivalità con la Cina non sarà indolore.

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