Nelle ultime settimane si sono andate moltiplicando le preoccupazioni per le ricadute negative sui traffici mondiali derivanti dalla possibile introduzione delle nuove misure anti-Cina annunciate dal Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti d’America (United States Trade Representative, USTR)
Come noto, l’USTR ha presentato agli inizi di marzo la proposta di imporre tasse portuali alle compagnie di navigazione cinesi, alle navi costruite in Cina e a qualsiasi operatore marittimo che abbia nella propria flotta anche soltanto una nave costruita in Cina o una singola nuova costruzione su ordinazione presso un cantiere cinese.
L’iniziativa, per discutere la quale sono state convocate proprio in questi giorni due audizioni pubbliche, rischia di penalizzare in modo particolare il traffico dei carichi non standard o fuori sagoma (project cargo): negli ultimi 12 mesi è risultato essere potenzialmente interessato dalla nuova tassazione il 98% delle project carrier che ha effettuato uno scalo presso uno o più porti statunitensi.
A evidenziarlo, nel suo ultimo report, la società di analisi britannica Drewry, secondo la quale il 76% delle port call è stato effettuato da navi costruite in Cina. Un altro 22% è comunque risultato essere potenzialmente interessato dalle nuove tasse perché operato da compagnie di navigazione che hanno nella propria flotta navi made in China.
Dall’analisi della flotta delle project carrier attualmente impiegate nei servizi di collegamento con gli USA emerge come il 71% delle project carrier in circolazione risulti essere stato costruito in Cina. Si tratta di un totale di 837 unità, cui, stando a quanto proposto dall’USTR, verrebbe imposto il pagamento di 1,5 mln di dollari di extra tasse per ogni scalo effettuato in un porto statunitense.
Il 14% delle project carrier non realizzate in Cina è invece operato da società armatoriali la cui flotta o il cui portafoglio ordini risulta essere composto, sino al 50% del totale, da navi realizzate in Cina o o commissionate ai cantieri cinesi. In base alla Ships Proposed Action presentata dall’USTR, questi soggetti sarebbero comunque tenuti a pagare da uno a 0,5 milioni di dollari di extra-tasse per ogni scalo effettuato in un porto statunitense da una propria nave, a prescindere quindi dalla sua provenienza.
Se ne deduce che soltanto il 15% queste navi, per un totale di 180 unità, è oggi esente dal pagamento di questa tassa.
“I dati mettono in evidenza come gli shipper abbiano a diposizione un numero assai esiguo di imbarcazioni realmente esenti da sanzioni” scrive Drewry, che sottolinea come la maggior parte delle unità navali battenti bandiera statunitense e utilizzate nel commercio USA siano state costruite in Cina.
La società di analisi ha poi evidenziato come negli ultimi 12 mesi sia risultato potenzialmente a tiro delle misure previste dall’USTR il 56% delle port call effettuate dalle navi general cargo, che hanno rappresentato il 40% delle navi multipurpose (MPV) che hanno scalato un porto a stelle nel periodo preso in esame (il restante 60% è invece composto da project carrier).
Il 34% delle unità che ha effettuato uno scalo nei porti statunitensi è risultato essere stato costruito in Cina. Il restante 22% è risultato essere operato da società armatoriali che hanno navi cinesi nella propria flotta o nel proprio portafoglio ordini.
L’analisi della flotta general cargo oggi impiegata nei servizi di collegamento da e per gli USA evidenzia come il 54% di queste navi (3514 unità) risulti esente dal pagamento delle tasse, non essendo state realizzate in Cina e non essendo gestite da operatori che hanno nel proprio portafoglio ordini o nella flotta navi di provenienza cinese.
Il 27% della flotta, per un totale di 1758 unità, è invece soggetto al pagamento completo delle imposte, essendo stato realizzato in Cina.
Per quanto riguarda le navi non cinesi, soltanto il 4% della flotta è operato da società armatoriali con un totale di navi cinesi compreso nella forbice tra il 25 e il 50% della flotta o dell’orderbook complessivo. Il 14% è interessato in misura marginale dalle nuove tasse.
“Le navi General Cargo è tra le categorie meno colpite dalle nuove normative proposte rispetto ad altri settori” afferma Drewry. “Il 41% delle navi General Cargo ha più di 20 anni, e poche di queste unità sono state costruite in Cina, dal momento che l’industria cantieristica cinese è diventata un attore significativo soltanto negli ultimi due decenni”.
Drewry ha infine analizzato i sovraccosti prodotti dall’introduzione della normativa in base alle tonnellate di carico trasportato dalle navi impiegate nei collegamenti tra Hong Kong e Los Angeles.
Una nave con una stazza lorda compresa tra le 7500 e le 9999 tonnellate spende oggi in media 55 dollari a tonnellata per effettuare questo viaggio. Ipotizzando che sia cinese e che quindi debba pagare 1,5 mln di dollari di extra tasse per ogni scalo effettuato in USA, la stessa nave andrebbe a spendere 245 dollari a tonnellata. Mentre se non fosse stata realizzata in Cina, i costi potrebbero ammontare attorno una forbice compresa tra i 118 e i 181 dollari a tonnellata, a seconda del quantitativo di navi cinesi presenti nella flotta o nel portafoglio ordini dell’operatore che gestisce quella nave.
“Il costo per tonnellata di carico potrebbe aumentare del 200/300%” afferma la consultancy firm. “Le navi più piccole faranno fatica ad assorbire queste tasse, mentre le navi più grandi con una stazza lorda di 40.000 tonnellate o più potrebbero cavarsela meglio grazie alle economie di scala. Tuttavia, questo aumento dei prezzi non è sostenibile in un libero mercato”