Parlare oggi di riforma della legge sui porti è come discutere di calcio: si tratta di un argomento che non passa mai di moda e su cui continuano ad esercitarsi specialisti, addetti ai lavori ma anche apprendisti stregoni, senza che nessuno sia riuscito, perlomeno sino ad oggi, a raggiungere una sintesi.
In particolare, si continua a considerare prioritaria la questione del modello di governance, che è invece quella di minore importanza: in fondo, per avere vertici efficienti basterebbe evitare di paracadutare in un settore ad alto tasso di specializzazione come quello logistico-portuale, persone magari eccellenti nei rispettivi campi di competenza ma estranee a portualità e logistica.
Partendo dal fatto che l’unica riforma dei porti degna di questo nome è stata quella introdotta dalla legge n. 84 del 28 gennaio 1994, occorrerebbe poter sviluppare una riflessione approfondita sui punti di criticità dell’attuale impianto normativo.
Il porto oggi è un collo di bottiglia che per vari motivi rallenta i flussi delle merci, impedendo ai traffici di crescere: occorre pertanto rendere più efficienti e coordinati tra loro i servizi, e più snelli ed efficaci i controlli, il tutto con tariffe chiare e trasparenti.
Un aspetto su cui è prioritario intervenire è quello della gestione dei servizi tecnico nautici e dei servizi di interesse generale resi all’utenza a titolo oneroso.
Rimorchio portuale, pilotaggio, battellaggio, servizio ferroviario portuale, gestione delle stazioni marittime passeggeri, trasporto persone intra-portuale, controlli doganali, sanità marittima, fitopatologo, reti elettrica ed idrica, fornitura di energia da fonti alternative a terminal, treni e navi, illuminazione, PCS, rete dati e voce: in una visione moderna e prospettica l’AdSP dovrebbe poter gestire direttamente e coordinare tutti i servizi pubblici resi alla nave e alla merce, finanziandosi con i canoni demaniali e le tariffe per la fornitura dei servizi, da calcolarsi al minimo del break-even stabilito e tenendo conto di costi e investimenti.
Un Ente con questi poteri, moderno e flessibile, riuscirebbe a rispondere con professionalità adeguate e risorse proprie alle richieste dei mercati, anticipandone le esigenze ed evitando i conflitti tra merce e passeggeri, tra porto e città, tra camion, autobus e treni.
La soluzione intermedia, certamente più praticabile nell’immediato, è quella di creare una o più società a capitale misto pubblico e privato, riservate agli operatori, e in grado di coniugare il ruolo di garanzia, coordinamento e controllo dell’ente pubblico con le capacità gestionali dell’operatore privato.
I modelli di riferimento sono quelli già utilizzati con successo per la gestione di stazioni marittime passeggeri e per i servizi ferroviari portuali.
Un leading case è quello di La Spezia Shunting Railways S.p.A., esempio virtuoso di comunità di intenti tra AdSP, operatori terminalisti, vettori ferroviari e MTO.
La società a capitale aperto alle diverse categorie di operatori, oltre che agli Enti pubblici, ha raggiunto l’obiettivo della crescita in doppia cifra del traffico ferroviario lavorando sull’ottimizzazione dell’esistente e sull’efficientamento del servizio, autofinanziandosi con tariffe ridotte rispetto al passato.
Trascorsi oltre cinque anni dalla costituzione, la società continua a crescere e a portare beneficio all’intero sistema portuale con risultati brillanti anche per un operatore privato.
Questo modello che prevede la partecipazione minoritaria ma di garanzia dell’AdSP è talmente flessibile da poter essere applicato, a seconda delle dimensioni del sistema e delle caratteristiche dei porti, in altri settori come le forniture, di acqua e di energia, il trasporto intra-portuale di personale e di passeggeri, la fornitura di servizi IT e PCS, la produzione e la distribuzione di energia da fonti rinnovabili.
Quello della gestione diretta o indiretta dei servizi tecnico nautici e di interesse generale potrebbe essere l’asse portante di un intervento complessivo di riforma della legge 84/94. Ma sono molteplici i campi su cui sarebbe ragionevole aspettarsi un intervento correttivo da parte del legislatore.
Ne cito tre a titolo di esempio.
Oggi, l’Autorità di Sistema Portuale può coordinare le attività amministrative degli altri Enti soltanto con riferimento alle aree demaniali di un singolo porto o dei singoli porti ricadenti nella sua sfera di competenza: si tratta di una impostazione che appare in contraddizione con lo spirito della riforma Delrio, che, per quanto inadeguata, ha introdotto i sistemi logistici portuali includendo al suo interno anche i retroporti.
L’AdSp dovrebbe invece poter coordinare le attività amministrative inerenti il sistema portuale di riferimento quale Ente di secondo livello ai cui organi partecipino rappresentanti degli Enti locali.
Altra questione è quella che riguarda la manutenzione delle parti comuni, compresa la manutenzione dei fondali: da un lato la legge restringe l’ambito di intervento al solo porto invece che al sistema portuale, dall’altro i poteri necessari allo svolgimento dei compiti sono limitati dalle competenze concorrenti di altri Enti territoriali e centrali.
Anche in questo caso occorre consentire alle AdSP di provvedere in completa autonomia alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti comuni dell’intero sistema portuale, compresi gli interventi di adeguamento delle reti stradali, ferroviarie e dei fondali.
Un’ultima considerazione riguarda sia le concessioni demaniali (i cui canoni dovrebbero essere differenziati a seconda del livello del sistema portuale) che le caratteristiche del concessionario.
La corsa degli ocean-carrier e delle compagnie crocieristiche alla acquisizione rispettivamente di terminal container e stazioni marittime è argomento di grande attualità, ma occorre operare una distinzione accurata per evitare distorsioni di mercato palesi o occulte.
Nulla osta se un vettore marittimo intende costruire e gestire un terminal o una stazione passeggeri dedicata esclusivamente al proprio traffico, a condizione che ci siano spazi e condizioni di mercato idonei.
Se invece il terminal, o la stazione marittima, si rivolge all’utenza generale, la partecipazione al capitale di vettori marittimi dovrebbe essere esclusa per evitare distorsioni di mercato.
Un discorso a parte merita la questione del lavoro portuale che, in estrema sintesi, dovrebbe essere organizzato secondo il modello delle agenzie di lavoro, anch’esse gestite dall’AdSP.
Messi in fila, sono questi i pilastri su cui puntellare l’impalcatura della trasformazione delle Autorità Portuali da semplici amministratori di condominio a soggetti proattivi presenti sul territorio.
Una riforma con queste caratteristiche avrebbe il merito di far decollare veramente le AdSP facendole uscire dalla ridotta di un ruolo che oggi appare inattuale, e limitato dai compiti e poteri assegnati ad altri Enti sovraordinati o paralleli.