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Il termometro del livello di pressione cui sono soggetti i porti

Vessel bunching, un dato da non ignorare

di Redazione

Gli esperti del settore lo chiamano “vessel bunching” ed è quel fenomeno che consiste nel raggruppare in un dato servizio settimanale un numero maggiore di navi rispetto a quelle normalmente richieste per effettuare un viaggio da A a B.

Se di norma ogni servizio settimanale richiede l’impiego di una singola nave per il trasporto della merce, può capitare anche che l’armatore debba impiegarne una o due in più per far fronte a una serie di imprevisti. Un ritardo nelle operazioni di carico e scarico , ad esempio, potrebbe far slittare la partenza di una nave nel servizio settimanale successivo. Altro esempio è dato dalla temporanea indisponibilità di una portacontainer più grande, che l’armatore è costretto a sostituire con due più piccole, o dalla necessità di far fronte alle esigenze di un carico maggiore rispetto a quello programmato.

In tempi congiunturali difficili, in cui le catene di approvigionamento sono sotto pressione, è normale che il fenomeno del vessel bunching si presenti con maggiore frequenza, vuoi per i problemi di congestione di cui soffrono determinati porti, vuoi per la minore affidabilità delle schedule programmate.

Si tratta insomma di un dato importante attraverso il quale misurare indirettamente il livello di pressione della supply chain. Ed è per questo motivo che Sea Intelligence ha deciso di analizzarne l’andamento.

Prendendo a riferimento il solo trade tra l’Asia e l’Europa, la consultancy firm evidenzia come nel pre-Covid il vessel bunching sia stato pressoché irrilevante. Durante la crisi pandemica, invece, è sostanzialmente aumentato il numero di navi in eccesso impiegate nel servizio di collegamento. Alla fine del 2023 il fenomeno è ritornato nella norma salvo poi ripresentarsi in modo evidente durante il periodo di crisi nel Mar Rosso, al punto tale da raggiungere i livelli del picco pandemico.

“Un maggiore raggruppamento di navi crea una maggiore pressione su porti e terminali” spiega il ceo di Sea Int., Alan Murphy. “Mentre la capacità offerta potrebbe essere la stessa se osservata nell’arco di due settimane (ovvero nessuna nave in partenza in una settimana seguita da due navi in ​​partenza nella settimana successiva), avere due navi in ​​partenza in una settimana e zero navi nella seconda settimana, costringe un determinato porto a fare gli straordinari in una settimana e a non lavorare in quella successiva. Ciò aumenta chiaramente il rischio di congestione portuale, con un effetto a catena sui trasporti terrestri e fluviali” aggiunge.

Il raggruppamento delle navi può quindi essere visto come il termometro attraverso il quale misurare la pressione sui porti e la corrispondente probabilità di problemi di congestione. “Pertanto, considerati i dati, non vi è alcuna indicazione che la pressione sui porti stia per essere alleviata” conclude Murphy.

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