«Livorno esclusa dalla Via della Seta? Quelle che leggiamo sulla stampa locale sono soltanto approssimazioni di giornalisti e parlamentari più o meno esperti. Lo scalo labronico è della partita».
Nereo Marcucci fa quasi un balzo dal sedile della sua Bmw quando il cronista gli chiede se i giochi italiani sulla Belt and Road cinese siano già bell’è fatti, con i porti ascellari di Genova e Trieste pronti a sbancare il bottino e gli altri scali condannati a un ruolo di secondo, se non di terzo piano.
Il numero uno di Confetra non è certo un livornese di primo pelo, è uno che i porti li conosce davvero.
Primo presidente di un’Autorità Portuale italiana, una lunga militanza in Contship come manager di alto bordo, da diversi anni rappresentante del CNEL, oggi ascoltatissimo consigliori del Gruppo Neri.
«Mi considero un portuale», dice di sé «e mi piace analizzare le questioni in modo pratico: la prima regola da cui bisogna partire per sviluppare un ragionamento in ambito logistico è che la merce è come l’acqua, cerca sempre la via più facile per raggiungere la meta. E lo fa con il minore dispendio possibile di energia e tempo, specialmente se origine e destinazione sono diverse».
Tradotto: «Non siamo ancora alla fin de partie, come in molti vorrebbero far credere».
Sulla scacchiera sono rimasti moltissimi pezzi: «sia Genova che Trieste non possono da soli sostenere tutto il traffico potenziale che ha come destinazione finale l’Eurasia e che è generato dalle diverse piattaforme produttive e logistiche che la Belt and Road Initiative sta promuovendo in decine di Paesi».
Africa, Balcani, Pakistan, sono solo alcune delle aree su cui il primo ministro Xi Jinping sta riversando parte dei 1400 miliardi di dollari messi in cantiere con il suo progetto espansionista.
Produrre di più e meglio, consumare di più, ma, soprattutto, esportare di più verso Paesi Terzi. Ecco ciò a cui mira l’impero del dragone per riequilibrare in due tappe – 2025 e 2050 – condizioni sociali e regionali troppo diversificate.
«I porti italiani, nessuno escluso, possono avere delle chance proprio grazie alle numerose biforcazioni della Silk Road».
La verità è che siamo appena al fischio di inizio di quello che Marcucci chiama il “Big Game”.
A giocare la partita della vita non saranno soltanto la Cina e gli Stati Uniti d’America.
In ballo ci sono anche le grandi alleanze (2M, Ocean Alliance e THE Alliance): «Grazie a un approfondito dossier dell’ITF firmato da Olaf Merk, Lucie Kirstein and Filip Salamitov, Bruxelles ha acceso un faro sul possibile impatto che il prolungamento della Consortia Block Exemption Regulation potrà avere sul trasporto marittimo di container. Le compagnie di navigazione, oggi raccolte in tre big alliances, sfrutteranno tutte la armi che hanno a disposizione per selezionare i porti di riferimento e sviluppare i propri traffici, anche prolungando la propria attività nel segmento terra».
Marcucci ritiene sia questa la vera partita del futuro che già divide i politici in guelfi e ghibellini.
Supportare i Big Three e la loro diffusione nell’intera supply chain o sostenere la BRI come alternativa possibile e, in alcuni casi, come strumento per evitare che, a certe condizioni, il sistema logistico venga “asfaltato” dalle grandi alleanze? Difficile prendere una posizione senza che volino gli stracci.
In questo Big Game le infrastrutture sono un elemento determinante: «È normale – dice Marcucci – che i soldi cinesi facciano gola a tutti, ma stiamo attenti a non cedere i nostri asset a Pechino. E non voglio parlare di 5G e Huawei, ma dei terminal. Sulla cessione a privati di quota parte delle infrastrutture portuali ritenute strategiche il Governo dovrebbe avere l’ultima parola».
Il numero uno della Confederazione Generale Italiana dei Trasporti e della Logistica apprezza che il Governo stia decidendo di stringere i bulloni della Golden Power: «Lo Stato deve avere il potere di opporsi o porre un veto su determinate operazioni di natura straordinaria che riguardino settori strategici».
Analogamente, l’UE dovrebbe cercare di riequilibrare lo strapotere delle grandi alleanze: «Abbiamo bisogno, ancora più che in passato, di un’Europa unita e coesa» afferma Marcucci «Non è che i terminal possono spuntare come funghi».
La costruzione di nuove infrastrutture deve seguire logiche sistemiche: «Il nostro Paese ha un programma che si chiama connettere l’Italia e l’Europa ha già preso delle decisioni sulle reti TEN-T: non si possono realizzare infrastrutture che siano fuori da questa logica».
Altro tema delicato è quello relativo alla progettualità. Marcucci pensa agli ultimi fatti di cronaca e all’alleanza che il porto di Genova sta stringendo con la China Communications Construction Company: «Bisogna rispettare le regole del Codice degli Appalti e la normativa comunitaria sulla trasparenza. Le scorciatoie impoveriscono il sistema paese».
E aggiunge: «Sarei perplesso se scoprissi che queste nuove sinergie di cui sento tanto parlare avessero come obiettivo quello di creare società operative pubblico-private. Come noto, le Autorità Portuali svolgono un ruolo di regolamentazione e non possono superare i confini delineati con la legge 84/94».
Sotto questo punto di vista, il numero uno di Confetra dice di apprezzare il lavoro svolto dal presidente dell’Autorità di Sistema del mar Adriatico Settentrionale e da quello dell’AdSP del Mar Adriatico Orientale, rispettivamente Pino Musolino e Zeno D’Agostino: «L’approccio di Venezia e Trieste è quello giusto e anche Palermo si sta muovendo bene. Auspico però che si riesca a fare ancora di più sistema».
Dalla Sicilia è partito peraltro nei giorni scorsi il primo container di arance rosse destinato ai mercati cinesi: «È la dimostrazione che per la Silk Road vale il ragionamento del nastro trasportatore: quel che parte dal Far East e arriva in Europa deve viaggiare nei due sensi di marcia. Il nostro export verso Pechino deve necessariamente aumentare».
L’Italia, insomma, può sfruttare la Belt and Road Initiative per ridurre il disavanzo della bilancia commerciale verso la Cina.
In fondo, così come l’acqua segue la via più facile da percorrere, anche la BRI potrebbe seguire le vie e le correnti più adeguate alle aspettative dei porti italiani.
La difficoltà principale sarà quella individuare i canali giusti su cui farla passare.