Interviste

Colloquio con Mark Watts

Via della Seta nei due sensi

di Marco Casale

Attenzione, corsia a doppio senso di marcia. La Via della Seta che il Governo cinese ha realizzato e in parte sta ancora realizzando, spendendo – sino a oggi – qualcosa come mille miliardi di dollari, «non è stata concepita con l’unico obiettivo di consentire a Pechino di inoltrare la propria merce da est a ovest, via mare o via ferrovia, ma prevede che si possa andare anche nella direzione opposta».

Parte da qui l’ex europarlamentare (in quota PSE) Mark Watts per dire ciò che pensa di uno «dei più grandi progetti infrastrutturali ed economici del secolo». Vista dall’Inghilterra – il paese da cui Watts proviene – la Belt and Road Initiative non solo non fa paura, ma rappresenta una grande opportunità e insieme una grande sfida da superare.

Watts, che oggi è coordinatore del Trade Body UK Transport in Europe, lo dice chiaramente: «La Silk Road è ancora in via di costruzione», ma perché diventi realmente percorribile in entrambe le direzioni occorre che l’Europa prenda piena consapevolezza del fatto che il mondo sta cambiando: «il primato asiatico a trazione cinese non è solo il riverbero di una volontà di potenza economica ma è il frutto di una strategia chiara e definita, dalla quale possono trarre vantaggio entrambi i contraenti».

La Cina, infatti, ha tutto l’interesse a garantirsi un migliore accesso alle sue esportazioni e importazioni, mirando a promuovere con i paesi che si trovano lungo il tragitto, fino all’estremo occidente, «relazioni che non sono prettamente economiche, ma anche politiche».

L’Europa, invece, ha bisogno di svilupparsi a Oriente, «di potenziare le connessioni di mercato verso partner strategici con cui definire accordi bilaterali».

La Silk Road, specialmente quella marittima, può insomma diventare la via maestra su cui far camminare i molteplici interessi in gioco.

Quelli europei sono chiari: «La ricerca di sempre maggiori risorse economiche per far fronte alle necessità infrastrutturali dei propri paesi membri, in particolare di quelli dell’Europa orientale, e l’esigenza di migliorare i collegamenti viari esistenti, che oggi appaiono sempre più congestionati, non possono che spingere l’UE a considerare la BRI un’ancora di salvezza per portare avanti i propri obiettivi comunitari».

Ma occorre prestare attenzione: credere convintamente nella bontà della iniziativa cinese non vuol dire subirla acriticamente, o rinunciare alle proprie convinzioni in tema di trasparenza delle regole di mercato. «Gli occhi vanno tenuti bene aperti – dice Watts –, l’Ue deve operare perché gli accordi con il Dragone siano improntati al rispetto dei principi della parità di condizioni nell’accesso al mercato e dell’equità e trasparenza negli appalti pubblici».

Una cooperazione tra l’UE e la Cina è però necessaria, se non altro per evitare sovrapposizioni inutili tra le rispettive iniziative in tema di infrastrutture, tra la BRI e le politiche TEN-T. I modelli di mercato cui si ispirano i due contraenti rimangono comunque molto diversi, ma per Watts un compromesso può essere raggiunto.

«La Belt and Road Initiative è l’unica chance che ha l’Europa per migliorare i collegamenti marittimi e viari e per eliminare i bottlenck lungo il tracciato.  Sono questi gli obiettivi su cui la Cina e l’Europa possono e debbono sviluppare un’alleanza secondo una logica win-win».

Ovviamente, per l’UE non sarà un gioco da ragazzi rafforzare la collaborazione esistente e promuovere al contempo l’applicazione dei principi dell’accesso al mercato, ma bisogna tentare.

«L’Europa scenda in campo e giochi la partita a viso aperto, tenendo gli occhi bene aperti sulla carreggiata. Dalla Cina e dalla sua BRI abbiamo tutto da guadagnare».

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