Chi lo ha detto che gli spazi in porto da assegnare in concessione debbano essere soltanto quelli di superficie, i piazzali e la banchine? Uno scalo ha tutto un mondo sommerso su cui nel tempo ha palificato i terminal e programmato il proprio futuro. Un mondo ancora tutto da scoprire, da sfruttare per gli usi più disparati.
E’ da questa premessa che parte l’articolato ragionamento che il presidente dell’AdSP del Mar Adriatico Orientale, Zeno D’Agostino, ha sviluppato nel corso della presentazione telematica di un Master Universitario di I livello nato su idea di Federmanager e sviluppato nell’ambito dell’iniziativa ForMare Toscana dall’Università di Pisa (leggi qui).
«Il porto va visto tridimensionalmente. Ha una estensione spaziale ma anche una propria profondità. Ed è agli spazi sottomarini che dobbiamo guardare se vogliamo dimensionare nuovi obiettivi di sviluppo nel medio-lungo periodo» ha detto D’Agostino.
È passato ormai un quarto di secolo da quando fu proiettato per la prima volta sugli schermi di mezzo mondo Waterworld, il colossal sulle avventure di Kevin Costner, nei panni di un mutante, in cerca degli ultimi lembi di terra in un mondo sommerso dalle acque. Il n.1 dei porti di Trieste e Monfalcone intende andare nella direzione opposta: gettare le basi per favorire una colonizzazione graduale e progressiva dello spazio marino.
No. Non si tratta qui di costruire nuove Isole delle Rose al largo delle coste italiane ma di provare a sfruttare spazi oggi non adeguatamente utilizzati. Non a caso, l’AdSP di Trieste è stata una delle prime, se non la prima, ad affidare una concessione subacquea a meno 13 metri di profondità al di fuori della diga del Porto vecchio.
Ormai sono due anni che Saipem ha a Trieste la propria base operativa per lo sviluppo e i test dei robot sottomarini destinati a muoversi fino a 4000 metri di profondità per manutenere le pipe line e i cavi sottomarini. L’area assegnata è quindi una palestra per testare questi droni che vivono diversi giorni sott’acqua prima di essere immessi nel mercato.
Si tratta di una esperienza originale, che ha portato D’Agostino a sviluppare, assieme ai suoi collaboratori, una serie di riflessioni sul tema. «Ci sono due tipi di innovazione. Quella che si applica al paradigma esistente e ha a che vedere con l’estensione spaziale e bidimensionale dei porti, qualificati come nodi logistici per la movimentazione delle merci e delle persone. E poi c’è una innovazione più radicale, che considera gli scali portuali quali luoghi sul mare, “lembi di terra” di un mondo sommerso dalle acque».
Innovare veramente, insomma, significa rivoluzionare il paradigma di riferimento: «Pianifichiamo e riempiamo i nostri porti di vuoto. Dovremmo ragionare sul fatto che il mare è un ambiente da colonizzare. Le AdSP possono giocare da questo punto di vista un ruolo strategico e favorire l’insediamento di “terminalisti subacquei” in grado di sviluppare attività legate alla blue economy, alla sostenibilità ambientale ed energetica».
L’innovazione ha quindi più volti. «Basta andare su google e digitare “cavi sottomarini” per scoprire una cartina globale sorprendente. Il dialogo via computer con un interlocutore cinese è reso possibile da collegamenti sommersi che percorrono le stesse rotte commerciali praticate dai big carrier. Ecco, i porti potrebbero ad esempio usare i propri spazi acquei, quelli che si trovano sotto le banchine, per creare centri di raccolta ed immagazzinamento dei dati».
D’Agostino invita a guardare ai porti come a luoghi fatti di più strati. Al pari della pelle, che ha un proprio derma, uno strato sotto l’epidermide, gli scali presentano al di sotto delle banchine un tessuto connettivo densamente vascolarizzato e innervato che sarebbe da stupidi non sfruttare.
«Dobbiamo approfittare degli shock che stiamo vivendo e che, probabilmente, vivremo sempre più frequentemente nel prossimo futuro, per cambiare i nostri paradigmi di riferimento, per rivoluzionare il nostro modo di vedere e pensare l’esistente. Se continueremo a leggere le evoluzioni storiche con le stessi lente del passato non andremo da nessuna parte».