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Transizione ecologica fra rischi e opportunità

Zero emissioni, la strada è ancora lunga

di Redazione Port News

Si ha un bel parlare di decarbonizzazione, di riduzione delle emissioni di CO2, ma non tutti paiono crederci veramente. Sicuramente non il vulcanico armatore ellenico, George Procopiou.

Nel corso della Maritime Cyprus 2022 Conference, evento biennale organizzato dal Ministero della Navigazione cipriota in collaborazione con la Cyprus Shipping Chamber e la Cyprus Union of Shipowners – tenutosi a Limassol tra il 9 e il 12 Ottobre – il fondatore di Dynacom Tankers e proprietario di Dynagas ha scandalizzato la platea con un’affermazione decisamente contro-tendenza: «Il caro, vecchio, petrolio – ha detto – è insostituibile. Per almeno altri cent’anni rimarrà il bunker più utilizzato nell’ambito del trasporto marittimo».

Altro che ammoniaca, idrogeno o metanolo. «Sono semplice fantascienza, fiction»  ha affermato Procopiou, esprimendo profonde perplessità sull’efficacia delle normative in materia di sostenibilità ambientali.

Parole taglienti le sue, che negli ultimi giorni pare abbiano trovato una qualche conferma nel quadro a tinte fosche delineato dalla World Benchmarking Alliance, organizzazione no profit la cui mission è quella di fornire a tutti l’accesso a informazioni che indichino parametri di riferimento per aumentare la trasparenza e aiutare a monitorare e confrontare le prestazioni della sostenibilità aziendale.

In una ricerca condotta in partnership con un’altra organizzazione no profit, CDP, la WBA sottolinea come le più importanti compagnie attive nel trasporto merci presentino lacune strategiche nell’adozione e promozione di politiche in materia di sostenibilità ambientale.

Su novanta società prese in esame (25 compagnie aeree, 17 shipping company, 33 multimodal operator e 15 aziende attive nel trasporto ferroviario e stradale), solo il 7% ha dimostrato di essersi realmente impegnato nel tentativo di ridurre la propria dipendenza dai combustibili fossili. “Più del 90% dell’energia consumata dai mezzi di trasporto, siano essi aerei, navi o camion, deriva da prodotti raffinati» si legge nel report.

Tra le novanta compagnie prese in esame, l’85% ha flotte che sono incompatibili con un futuro low-carbon, anche se – precisa la WBA – la maggior parte di esse ha precisato di avere programmato di rinnovare il parco mezzi.

Altro elemento critico – secondo la WBA – è dato dall’esiguità delle risorse investite nella Ricerca e nello Sviluppo (R&D). Appena lo 0,3% dei ricavi derivanti dalle attività trasportistiche è impiegato in progetti di ricerca che facilitino la progressiva transizione verso l’adozione di tecnologie low-carbon, come i veicoli elettrici e i fuel sostenibili nell’ambito del trasporto aereo. Va detto però che la quasi totalità delle aziende intervistate, il 94%, non fornisce dati significativi sulla R&D.

La WBA sottolinea poi come si contino sulle dita della mano le società che abbiano deciso di sfruttare la propria influenza per promuovere un cambio di mentalità e favorire, anche da parte dei clienti, l’adozione di comportamenti virtuosi nell’ambito del processo di transizione ecologica.

Tra le prime cinque aziende con le migliori performance nel benchmark dei trasporti  figurano la ComfortDelGro Corporation (società attiva nel trasporto veicolare di sette Paesi); La società di servizi postali francesi (Le Poste Group); la compagnia di trasporto pubblico del Regno Unito (First Group) e il principale operatore ferroviario dei Paesi Bassi, NS Groep.

In ambito marittimo, il primo posto se lo è aggiudicato Maersk. La compagnia di navigazione danese è «una delle poche aziende ad avere una politica che favorisca il coinvolgimento attivo delle Associazioni di Categoria su tematiche che riguardino la sostenibilità ambientale» si legge nel report.

«I trasporti rappresentano il 37% delle emissioni globali di carbonio, è necessario pertanto intensificare gli sforzi nella lotta all’inquinamento ambientale se vogliamo mantenerci in linea con l’obiettivo, fissato nell’Accordo di Parigi, di limitare ben al di sotto dei 2 gradi Celsius il riscaldamento medio globale rispetto al periodo preindustriale, puntando a un aumento massimo della temperatura pari a 1,5 gradi Celsius» afferma Vicky Sins, responsabile per la WBA della direzione “Decarbonisation and Energy Transformation”.

Ma attenzione, «questo grande cambiamento non potrà mai essere ottenuto se tutti gli attori in campo, a cominciare dalle società, non maturino una nuova consapevolezza ecologica. C’è un urgente bisogno di collaborazione per arrivare a fare un deciso passo in avanti verso il futuro a zero emissioni».

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